In memoria di Lorenzo Accomasso
Breve scritto in memoria di Lorenzo Accomasso, detto Cavaliere prima e Commendatore poi, uomo plurale, dal racconto progressivo e vignaiolo di grandissimo respiro.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo e sono certo che senza quella prima irripetibile visita del novembre 2016 – che molti ci pronosticavano impossibile – forse anche L’Enonauta, allora ancora solo un’idea, avrebbe avuto un destino diverso.
A quell’incontro ne seguirono altri, sempre accompagnati dai ricordi e dagli aneddoti che il Signor Lorenzo elargiva con generosa naturalezza. Un uomo sapientemente e consapevolmente controcorrente.
Dal Cavaliere non si bevevano solo degli ottimi vini. Si ascoltavano la storie di un territorio, della sua gente, del fare, dei successi e delle difficoltà di un tempo non così lontano. La mia conoscenza di Lorenzo Accomasso è legata a quello spazio al pianterreno della sua casa nella frazione Annunziata in La Morra ed è quindi legata ai suoi vini e ai suoi aneddoti. Tra i tanti quelli che più nitidamente, a mio avviso, tradivano una natura anticonformista ed ironica, l’orgoglioso racconto di una quercia in mezzo a un vigneto: “toglila che fa danno!”, dicevano in molti, invitandolo a sradicarla. Ma il Cavaliere preferiva lasciarla prosperare, alta quasi quanto il campanile della chiesa. Oppure il racconto dei due americani in cerca di Barolo moderno allora che negli anni 80, come sosteneva, non era facile per un Classicista come lui vendere il Barolo e che indirizzò ugualmente verso la curva più avanti in direzione del paese dove ne avrebbero trovati “due molto bravi”.
E in ultimo parliamo del suo vino, come in effetti il Cavaliere stesso faceva lasciandogli un posto alla fine di lunghe digressioni su automobili, sale da ballo, il calcio, incredule considerazioni sul prezzo di un ettaro di vigneto, i funerali di Bartolo Mascarello, la fondazione della Cantina Comunale di La Morra, la non invidiabile condizione di contadino in un tempo in cui i vignaioli non erano avvolti da un’aura di fascino come ai giorni d’oggi. I suoi erano vini d’autore: rigorosi, vigorosi, capaci – come sa chi ha avuto la fortuna di aprirli più volte – di bilanciare annate meno riuscite con bottiglie di memorabile intensità, di quelle che non vorresti mai finire e con pochi pari nel panorama del vino contemporaneo.
Non parlo solo dei suoi Baroli, ma anche del Barbera (maschile, come lui ci teneva a sottolineare) che definiva “il vino della felicità”, e del suo Dolcetto, tornato in etichetta nel 2017 “proprio perché annata difficile”, e di cui ci ha lasciato interpretazioni magistrali.
Mi chiedo come sarebbe stato quel vino ipotetico che una volta dichiarò di voler fare affermando, con autoironia, dopo averne criticato l’uso per tutta l’ora precedente, di voler “quasi quasi comprare una barrique prima di morire per fare una prova”.
Il vino italiano perde uno dei suoi grandi protagonisti, ma non potrà certo dimenticare le sue oltre 70 vendemmie, i suoi Baroli austeri e radicalmente tradizionali.
I virgolettati sono citazioni letterali estratte da racconti di Lorenzo Accomasso.

In Memory of Lorenzo Accomasso
Lorenzo Accomasso—first Cavaliere, later Commendatore—was a man of rare breadth: plural in his experiences, progressive in his storytelling, and a winemaker whose vision reached far beyond the boundaries of his vineyards.
I count myself fortunate to have met him. Without that first, unrepeatable visit in November 2016—a meeting many told us would never happen—even L’Enonauta, then still only an idea, might have taken an entirely different path.
That day was followed by others, each marked by memories and anecdotes that Signor Lorenzo dispensed with unforced generosity. He was a man who moved knowingly and deliberately against the tide. At the Cavaliere’s, one did not merely drink excellent wines; one absorbed the stories of a land, of its people, of its work and triumphs, and of the hardships of a past not so distant. My own memories of him are inseparable from that modest ground-floor room of his home in Annunziata, La Morra—inseparable from his wines and his tales.
Among those tales, a few stand out as pure expressions of his nonconformist and ironic spirit. There was the oak tree standing in the middle of a vineyard: “Take it out—it’s doing harm!” many advised. He left it to grow, almost as tall as the church bell tower. And there was the story of two Americans, in search of modern Barolo in the 1980s, when—as he often said—it was no easy task for a Classicist to sell his wine. Still, he cheerfully directed them to the next bend toward the village, where “two very good ones” could be found.
And then, inevitably, the conversation would return to his wines—though only after long and digressive detours through cars, dance halls, football, astonishment at the price of a hectare of vineyard, the funeral of Bartolo Mascarello, the founding of the La Morra Cantina Comunale, and the decidedly unglamorous lot of the farmer in days when winegrowers were not surrounded by the aura they enjoy today. His were vini d’autore: rigorous, vigorous, and—those fortunate enough to open them more than once will know—capable of redeeming lesser vintages with bottles of such memorable intensity you wished they would never end. In the contemporary wine landscape, they had few equals.
Not only his Barolos deserve mention. There was his Barbera—masculine, as he always insisted—his “wine of happiness”. And his Dolcetto, brought back to the label in 2017 “precisely because it was a difficult vintage”, in masterful interpretations. I still wonder about the wine that never was—the one he once threatened to make, with self-mocking mischief, after an hour spent criticising its very style: “I’m almost tempted to buy a barrique before I die, just to try it.”
Italian wine has lost one of its great characters. But it will not forget his more than seventy harvests, nor his Barolos—uncompromising, austere, and radically traditional.
All quotations are taken verbatim from the words of Lorenzo Accomasso.



Scrittore/poeta disorganico, coltivatore principiante, cuoco discontinuo, sommelier agli inizi, movimentatore di poponi, giovane padre.