Non è una provocazione, tantomeno una descrizione con intento denigratorio, bensì un tentativo sincero di rendere per scritto, cosa peraltro non facile, l’esperienza con un vino appartenente a una categoria nella quale non mi capita quasi più di imbattermi. Questo l’ho trovato stappato a una tavola a cui ero stato invitato.
Sangiovese e Cabernet Sauvignon con affinamento in legno.
Colore rubino molto scuro, di primo acchito non diresti che è un Sangiovese, cosa che per un Sangiovese non è promettente, alla cieca lo avrei detto un pugliese di fascia bassa.
Naso con poca spinta, ci sono ricordi di frutti a bacca scura, cacao, legumi, chiodo di garofano ed erbacei. Al palato non mostra particolare vigoria. Acidità blanda, tannini non pervenuti, tocco morbido di scarsa durata, sembra un vino pensato principalmente per non infastidire nessuno e che termina senza lasciare nessuna suggestione. Espressività e fedeltà alla tipologia decisamente ai minimi.
In estrema sintesi lo potrei definire un vino inespressivo ed inoffensivo.
A spingere il suo natante di tappi di sughero, nel grande mare delle cose del vino, sono il vento della curiosità, la “sete di conoscenza” e il piacere di condividere la mensa e la bottiglia. Non ha pregiudizi, non teme gli imprevisti, cambia volentieri idea, beve tutto con spirito equanime pur conservando le sue preferenze.
E questo blog è un diario di bordo a più voci, fatto di sensazioni e mai di giudizi. Sensazioni irripetibili, racconti di cantina, note di degustazione, percezioni talvolta chiare e talvolta oscure, non discorso sul vino, ma discorso dal vino e nel vino. Con l’umiltà di chi sa bene che il dominio dell’ancora da scoprire è vasto, che le bottiglie di vino sono tante e ci vuole molto impegno per berle tutte.
Il Sagrantino è tannico. Questo di Caprai non fa eccezione ed è tannico e criticarlo, come a volte capita, per il tannino non è certo proficuo.
Sagrantino 100 percento, elevazione in barrique per 22 mesi e poi bottiglia.
Il colore è piuttosto scuro, quasi impenetrabile. Profumi principalmente di frutto a bacca scura, chiodo di garofano, ricordi mentolati e di tabacco. Di media intensità. Ha volume, corpo, acidità moderata e sviluppa una buona dinamica di gusto forte di un frutto ben concentrato che gli consente di essere un vino che non soccombe alla densità e alla forza dei tannini e a non essere semplicemente tannico, ed è tannico, e questo senza indulgere in dolcezza e soprattutto con una esemplare compattezza Da non bere all’aperitivo, ma già questo 2016 potrebbe completare una tavola dove c’è un Istrice in Umido o, dal momento che cucinare l’istrice è illegale, anche un più banale Cinghiale.
Sagrantino di Montefalco CollepianoSagrantino di Montefalco Collepiano
A spingere il suo natante di tappi di sughero, nel grande mare delle cose del vino, sono il vento della curiosità, la “sete di conoscenza” e il piacere di condividere la mensa e la bottiglia. Non ha pregiudizi, non teme gli imprevisti, cambia volentieri idea, beve tutto con spirito equanime pur conservando le sue preferenze.
E questo blog è un diario di bordo a più voci, fatto di sensazioni e mai di giudizi. Sensazioni irripetibili, racconti di cantina, note di degustazione, percezioni talvolta chiare e talvolta oscure, non discorso sul vino, ma discorso dal vino e nel vino. Con l’umiltà di chi sa bene che il dominio dell’ancora da scoprire è vasto, che le bottiglie di vino sono tante e ci vuole molto impegno per berle tutte.
Me l’avevavo consigliato più volte. Mi capita finalmente l’occasione di comprare due bottiglie dell’annata 2013, così da rispettare la regola personale dei 10 anni, e lo provo. “Cazzo! Che bel Vino!” penso subito al primo approccio e sento di essermi perso qualcosa in questi anni di bevute. Barbaresco di stampo tradizionale con lunga macerazione in cemento e invecchiamento in botte grande. Da Vigne le cui uve venivano un tempo conferite a un noto collega (si comprende bene il motivo). Vino di rare luminosità e intensità olfattiva, ripenso a quanto esclamò un amico annusando un famoso Sangiovese “sembra un profumo…” e non aggiungo altro. Ci sono reminiscenze nitide di Melograno, chinotto, rosa canina, floreale delicato, ma anche più defilati ricordi di erbe aromatiche e balsamici. Riconoscibile e molto fedele. Del melograno ha pure l’impatto tattile al palato. Sottile, pieno di energia, alcol giusto, porta in bocca questo frutto dolce, ultrapimpante e tonico che si accoppia meravigliosamente con l’abbondante acidità e i bei tannini profilanti. Sorso definito, lungo, arioso.
A spingere il suo natante di tappi di sughero, nel grande mare delle cose del vino, sono il vento della curiosità, la “sete di conoscenza” e il piacere di condividere la mensa e la bottiglia. Non ha pregiudizi, non teme gli imprevisti, cambia volentieri idea, beve tutto con spirito equanime pur conservando le sue preferenze.
E questo blog è un diario di bordo a più voci, fatto di sensazioni e mai di giudizi. Sensazioni irripetibili, racconti di cantina, note di degustazione, percezioni talvolta chiare e talvolta oscure, non discorso sul vino, ma discorso dal vino e nel vino. Con l’umiltà di chi sa bene che il dominio dell’ancora da scoprire è vasto, che le bottiglie di vino sono tante e ci vuole molto impegno per berle tutte.
“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico” cantava il poeta. Se sostituiamo al sole la nebbia, sembra proprio il succo di quel che si scopre esplorando i 17 banchi di assaggio di La rivoluzione a Montespertoli, giovane, piccola e (lo dico a posteriori) preziosa manifestazione a cui L’Enonauta si affaccia con curiosità in una silenziosa domenica novembrina, ovattata da quella sottile nebbiolina autunnale che non può che incentivare la voglia di colorare l’anima dal di dentro con qualche buon calice. Come se ce ne fosse bisogno…
La rivoluzione a Montespertoli
Lo slogan rivoluzionario è meno peregrino di quel che si possa maliziosamente pensare di fronte a una qualsiasi invenzione di marketing. Si respira davvero un’atmosfera lontana dal mainstream fieristico, e non solo per la dimensione e l’affluenza molto contenuta della mattina, ma anche nelle parole più sottolineate e, soprattutto, nei calici degustati. Quella di Montespertoli è una rivoluzione che guarda contemporaneamente ai due orizzonti, solo apparentemente opposti, del passato e del futuro, così come nell’Associazione dei Viticoltori di Montespertoli, promotrice dell’iniziativa, convivono le radici della tradizione vinicola artigianale del territorio e l’energia propulsiva, innovativa e contagiosa delle nuove generazioni che stanno guidando questa nuova stagione. L’Associazione stessa rinasce sulle ceneri di una precedente non fortunatissima esperienza.
Del resto la bipolarizzazione ci pare anche la caratteristica più tangibile dell’identità enologica del territorio di Montespertoli, che è il comune più vitato della Toscana e il maggior produttore di Chianti DOCG del mondo, ma soffre forse di un deficit di identità a causa delle divisione tra due sottozone che finora hanno faticato a integrarsi in una strategia comune: quella più consolidata del Chianti Colli Fiorentini DOCG e quella del Chianti Montespertoli DOCG.
Alla ricerca di un nuovo spazio di comunicabile riconoscibilità nel panorama affollato del vino toscano i 17 viticoltori associati e presenti in fiera stanno ora tracciando, e assai velocemente, una strada che da una parte sembra riportare alle proprie origini, alla valorizzazione dell’identità territoriale, alla naturalezza dei processi, al rapporto gioioso tra vino e convivialità, rifiutando di farsi condizionare dalle tendenze del ricco mercato internazionale che tanto ha influito sullo sviluppo della toscana enologica, e dall’altra aprono a uno spazio di creatività con tantissime escursioni fuori disciplinare che colpiscono per varietà e livello qualitativo in un range tanto contenuto di produttori e territorio. Il tutto sempre nel segno della freschezza e della piacevolezza ma senza eccessi di semplificazione, e con prezzi che restano mediamente in un range che non appesantisce i pensieri. Insomma, vini per gente a cui piace bere più che cincischiare, ma che il vino ce l’ha nel sangue e non si accontenta facilmente.
Via allora alla rivalutazione dell’uso della bacca bianca nel Chianti, in particolare con le interpretazioni del Castello di Sonnino, che realizza un Chianti Montespertoli in ammirevole equilibrio tra ricchezza e bevibilità, e quella di Valleprima che con malvasia e trebbiano va a a ingentilire una riserva, il suo Chianti Riserva DOCG Terre d’Argilla, di estrema freschezza.
E il trebbiano ha una sua bella parte in scena. Tra le interpretazioni del trebbiano in purezza da ricordare, anzi da bere, per la gustosa coesistenza di ricchezza di frutto e sapidità almeno l’autunnale Virginio di Sonnino, ma anche il più estivo Cantagrillo di La Leccia. Discorso a parte per Lupinella Bianca, il trebbiano di Lupinella, cantina che rimette nel circolo della propria produzione enologica l’antica arte familiare della lavorazione dell’argilla e dalla vinificazione in otri di terracotta estrae un vino di sorprendente espressività. Espressività che è il tratto comune dei vini della cantina, a partire dall’allegro e leggero entry level dei rossi, Il Lupinello da 1 litro (sangiovese, canaiolo e, anche qui, trebbiano), fino all’intenso, lungo e verticale Sangiovese IGT.
Lupinella, che sfoggia le etichette esteticamente più belle dell’interno novero dei presenti, condivide anche la palma di banco più sorprendente della giornata con quello della Fattoria Bonsalto: un progetto, quest’ultimo, partito appena nel 2020 (in passato il vino prodotto era destinato all’autoconsumo o ad altri imbottigliatori della zona) che già esprime una personalità stupefacente in ogni sorso,. Una batteria di cinque vini in degustazione, tutti ricavati da varietà di uva autoctone e tutti capaci di alimentare sorpresa, gioia e desiderio; cito per emblematicità il risultato raggiunto da Primo Marzo, elisir di uva boggione rosso maturato in anfora e che in bocca sviluppa una narrativa succosissima e originale.
Dentro il solco di una tradizione rassicurante per qualità ormai stratificata, stanno i vini della famiglia Gallerini cinque generazioni di viticoltori, che dal 1945 ha trovato stanza nella Tenuta Barbadoro, regno soprattutto del Sangiovese, proposto in diverse interpretazioni. All’iniziatore Serafino è dedicato un Chianti Docg da manuale, trionfante di frutti rossi, ai due fondatori della tenuta sono intitolati rispettivamente il robusto Chianti Montespertoli DOCG II° Guido e, unica concessione all’internazionalità, il denso ed elegante merlot Ottavino, prodotto in tremila bottiglie.
Varrebbe la pena sostare con qualche parola su ognuno di questi produttori di temperamento autentico. Mi limito a ricordare ancora un paio di bottiglie da stappare per testare la versatilità di questi territori: Dolico, l’estivo beverino viogner di Le Fonti a San Giorgio, e il Rosso IGT di Montalbino, praticamente un’antologia in vetro dei vitigni autoctoni, con Fogliatonda e Canaiolo a fare da protagonisti, Sangiovese e Colorino a spalleggiare.
Concludo per brevità ricordando due cantine che a mio parere si aggiudicano un riconoscimento che, in questi tempi di rincari spesso irragionevoli, si distinguono, in controtendenza, con una linea di prodotti di prezzo molto contenuto rispetto alla qualità espressa dalle loro bottiglie, e a noi viene da leggerlo come un gesto di amicizia e fratellanza per noialtri poveri innamorati del buon bicchiere in tavola tutti i giorni a pranzo e a cena, e a volte anche a merenda. Si tratta di Podere Guiducci, coi suoi rossi (come usa d’obbligo ormai dire almeno sette o otto volte al giorno, e io non l’ho ancora fatto) croccanti, e per le Fattorie Parri, dalla cui offerta spiccano il Chianti Montespertoli e, soprattutto, un gran vin santo che in un trionfo di frutta secca lascia spazio a sentori rinfrescanti e balsamici, pericolossimi per chi non si intimidisce di fronte alla possibilità di aprire e finire la bottiglia in pomeriggio; magari accanto a una fragrante crostata casalinga, anch’essa da seccare in un sol boccone, e alla fine leccare le briciole, sgrondando nel calice, felici, le ultime gocce della boccia.
Vivo e lavoro con i libri e tra i libri ma sotto sotto penso in ogni istante a cosa si potrebbe mangiare e bere di buono alla prima occasione. Dei posti in cui sono stato bene amo parlarne con entusiasmo agli amici. Adesso anche qui.
Un fantastico venerdì 17 in buona compagnia e con sei Barolo da annata favorevole con abbondanza di vini moderni e piccola rappresentanza di tradizionali. Tre da cru, tre classicamente solo annata.
Da uve in Berri e Capalot, 24 mesi in botte e grande e bottiglia.
Chiaro, lineare, con spiccati rimandi agrumati, di ribes e rosa, moderatamente speziati e di bitter. Sorso ben definito, si sviluppa intorno all’asse fresco/tannica, in modo piuttosto fluente, ordinato e con ottimo finale dove tornano la scorza di arancio e il bitter. Manca forse del guizzo che lo renda unico, o più semplicemente particolare, ma è un vino ben fatto, piacevole già adesso. Un vino che riberrei.
Barolo Neirane 2016 – Agostino Bosco
Vigna in Verduno, acciaio e poi prima barrique e tonneau e a seguire botte grande.
Un Barolo dalla forza oscura, imbrigliata, in attesa del momento di essere liberata del tutto. Mi fa pensare per analogia al brano “Electric Funeral” dei Black Sabbath (accostamento ovviamente elogiativo) come il vino precedente ai Whitesnake, o ai Guns and Roses come mi hanno corretto i compagni di tavolo, volendo abusare delle canzoni hardrock come riferimento. Colore scuro, note predominanti di marasca matura e prugna, muschio, eucalipto, balsamiche e terrose. Al palato mostra una certa densità, struttura, pienezza, tannini non spigolosi, ma ben presenti. Un vino brulicante di forze che per il momento non hanno ancora trovato equilibrio. Al momento lo consiglierei solo con piatti di grande struttura.
Barolo Bricco Luciani 2016 – Mauro Molino
Macerazione breve e fermentazione in acciaio 18 mesi in barrique.
Il meno complesso dei sei. Che può essere al contempo un pregio oppure un disincentivo in relazione a cosa cerca il bevitore. Colore rubino scuro, ricordi di resine, vaniglia, prugna e ciliegia, cenere spenta e note di tostato. Porta ben chiari i segni dell’elevamento in legno. Sorso agevole, di medio corpo, il più vellutato dei sei con un centrobocca ricco, torna molto frutto, sembra aver già raggiunto un buon punto di equilibrio con tannini ingentiliti e acidità ben diffusa.
Barolo Gattera 2016 – Mauro Veglio
Vigna a La Morra. Prima acciaio e poi 24 mesi in barrique per il 30% nuove.
Un vino che spicca per precisione ed equilibrio. Per quanto non possa considerare questo genere di Barolo tra quelli del cuore trovo in questo vino chiarezza di intenti e ottima esecuzione. Colore di media intensità, bouquet bello con suggestioni che spaziano dalla ciliegia e dall’arancia al chiodo di garofano, dal mentolo alla vaniglia, con ricordi di erbe aromatiche e di viola. Vino misurato al palato che ha uno sviluppo gustativo per cui spenderei il controverso termine elegante. Una bella progressione, generale levigatezza e buon corpo in un quadro di vitalità e tonicità. Vino quasi risolto, con bel finale sapido e rinfrescante.
Barolo 2016 – F.lli Barale
Da vigneti situati nel comune di Barolo: Coste di Rose, Preda e Monrobiolo. 3 anni in botti di rovere dai 15 ai 30 hl.
Con questo vino fanno festa gli amanti del Barolo tradizionale. Si innesca all’istante quella zona del cerebro sensibile alle stimolazioni del Barolo un po’ austero, un pochino rustico, ma anche gentile con la sua fruttuosità delicata. Traslucido granata, profumatissimo, rose e arancia navel, melograno, timo, genziana. Non complessissimo però netto e intenso. Vino dalla freschezza appuntita, asciutto nella forma, con tannini di carattere e una qualità di gusto eccellente e molto persistente per un effetto generale rinfrancante.
Barolo 2016 – Giacomo Grimaldi
Dalle vigne Terlo in Barolo e Sottocastello di Novello. 8/10 giorni di macerazione a temperatura controllata in acciaio. Fermentazione malolattica in barrique. Affinamento per 12 mesi in barrique francesi (25% nuove), e 12 mesi in botte grande, blend in acciaio per 8 mesi.
Barolo d’impatto, penalizzato forse dall’essere l’ultima bottiglia degustata, ma è apparso un vino poco dinamico. Colore scuro, un corredo aromatico orchestrato su registri cupi, non molto vivaci, dove a predominare sono i rimandi all’elevazione in legno come la vaniglia, le essenze orientali, il tabacco e con le fragranze fruttate di prugna e floreali in secondo piano. Ingresso con calore e densità, tocco vellutato, finale su frutto-spezie, un po’ monolitico, non molto dinamico come premesso.
Che ci dice questa serata? Che l’annata 2016, questa è una conferma, ci ha consegnato mediamente ottimi vini. Ci dice anche che in compagnia si beve meglio e si vive bene e che la faziosità è quasi sempre un limite e che il buono, si parla in questo caso di stili di vinificazione, sta nel moderno e nel classico. Basta saper accorgersene.
barolo 2016Barolo “016 Trediberri – Barolo Neirane A. BoscoBarol0 2016 F.lli BaraleBarolo Bricco Luciani M. Molino – Barolo Gattera M. VeglioBarolo 2016 G. Grimaldi
A spingere il suo natante di tappi di sughero, nel grande mare delle cose del vino, sono il vento della curiosità, la “sete di conoscenza” e il piacere di condividere la mensa e la bottiglia. Non ha pregiudizi, non teme gli imprevisti, cambia volentieri idea, beve tutto con spirito equanime pur conservando le sue preferenze.
E questo blog è un diario di bordo a più voci, fatto di sensazioni e mai di giudizi. Sensazioni irripetibili, racconti di cantina, note di degustazione, percezioni talvolta chiare e talvolta oscure, non discorso sul vino, ma discorso dal vino e nel vino. Con l’umiltà di chi sa bene che il dominio dell’ancora da scoprire è vasto, che le bottiglie di vino sono tante e ci vuole molto impegno per berle tutte.
La perfezione di un’opera la potrebbe definire intimamente il suo autore valutando lo scarto tra la realizzazione e l’urgenza iniziale che ne determinò la volontà della realizzazione. Ecco, questa bottiglia di Bucerchiale 2016 ha uno scarto decisamente ridotto tra quanto io in anni di ripetuti stappi ho immaginato essere il vertice espressivo raggiungibile da questo vino in relazione a quello che ho pensato potesse essere l’idea originaria di questa etichetta. Un pensiero parziale, unilaterale, da bevitore, ma senza alcun timore di esagerare questo è uno dei miei candidati ideali per i 100 punti se mai mi dedicassi a valutare i vini in punti.
Sangiovese della Rufina con passaggio in legno piccolo.
Veste più chiara del solito, raggiante granato e si parte al naso con quel che si potrebbe respirare in una strada costeggiata da cipressi in un caldo pomeriggio di giugno (la resina fresca per chi non apprezza i giri di parole) e poi il rosmarino, la scorza d’arancia, ciliegia e meno pronunciate note balsamiche, di prugna, sottobosco, ematiche. Un vino dai ricordi olfattivi intensi e nitidi con un sorso che non ha una virgola fuori posto. Incisivo, espressivo, vitale, risolto, rara profondità e il tutto su registri meno cupi di alcune recenti annate. Ogni elemento sembra intimamente fuso dentro al vino, che ha persistenza e qualità di gusto di assoluto valore e un finale frutto/mentolato molto arioso.
Un grande classico del bere Toscano che non bisogna mai sottovalutare.
A spingere il suo natante di tappi di sughero, nel grande mare delle cose del vino, sono il vento della curiosità, la “sete di conoscenza” e il piacere di condividere la mensa e la bottiglia. Non ha pregiudizi, non teme gli imprevisti, cambia volentieri idea, beve tutto con spirito equanime pur conservando le sue preferenze.
E questo blog è un diario di bordo a più voci, fatto di sensazioni e mai di giudizi. Sensazioni irripetibili, racconti di cantina, note di degustazione, percezioni talvolta chiare e talvolta oscure, non discorso sul vino, ma discorso dal vino e nel vino. Con l’umiltà di chi sa bene che il dominio dell’ancora da scoprire è vasto, che le bottiglie di vino sono tante e ci vuole molto impegno per berle tutte.
Sostanza, molta sostanza, e precisione per questo Barolo di Eraldo Viberti da La Morra. Colore di media concentrazione molto luminoso, con ricordi di scorza di arancia, eucalipto, marasca, erbe medicinali, spezie un accenno, cosi come i sentori resinoso/tostati sono appena percepibili. Il tutto con grande generosità e pulizia. Sorso altrettanto generoso, caldo, voluminoso, caratterizzato da spiccata piacevolezza di beva, scorrevolezza, integrità, misurata acidità e tannini ben scolpiti. Buono da bersi adesso, ma anche in prospettiva 2028. Altra bella interpretazione dell’annata 2015 (qui un altro esempio) per l’azienda di La Morra. Annata che è sì buona, ma non esente da rischi sulla distanza.
Vigneto in Verduno, in Diano d’Alba l’azienda. Invecchiamento in botte grande.
Premessa buffa: Nell’aprile 2022 stavo organizzando un giro nelle Langhe con alcuni amici e l’azienda di Edoardo Sobrino era tra quelle che avevo contattato, spinto dall’entusiasmo di alcuni racconti raccolti e senza aver mai bevuto i suoi vini. Poi è finita che io non ho potuto partecipare alla gita e da Edoardo Sobrino sono andati gli amici senza di me e qui si può leggere il resoconto di quel viaggio
Questa bottiglia è una di quelle che ritornarono da quel viaggio.
Vino chiaro, luminoso, nitido nei rimandi olfattivi con predominanti note floreali e balsamiche, di eucalipto, anice stellato, erbe officinali. Più tenui ricordi di ribes, bergamotto, felce. Vino dall’intensità olfattiva sopra la media.
Al palato è sottile, dall’andatura lineare e incisiva, senza sbavature, con acidità calibratissima e tannini di grana fine, sapidità spiccata con ben apprezzabile bilanciamento di tattile e gustativo e si conferma la precisione di tratto già suggerita al naso.
A spingere il suo natante di tappi di sughero, nel grande mare delle cose del vino, sono il vento della curiosità, la “sete di conoscenza” e il piacere di condividere la mensa e la bottiglia. Non ha pregiudizi, non teme gli imprevisti, cambia volentieri idea, beve tutto con spirito equanime pur conservando le sue preferenze.
E questo blog è un diario di bordo a più voci, fatto di sensazioni e mai di giudizi. Sensazioni irripetibili, racconti di cantina, note di degustazione, percezioni talvolta chiare e talvolta oscure, non discorso sul vino, ma discorso dal vino e nel vino. Con l’umiltà di chi sa bene che il dominio dell’ancora da scoprire è vasto, che le bottiglie di vino sono tante e ci vuole molto impegno per berle tutte.
Ottima l’annata, credo in Toscana nessuno sia riuscito a fallire nemmeno provandoci volontariamente, celebrato il vino. Il risultato è buono. Ultima bottiglia acquistata al prezzo di prima della deriva delirante del mercato e credo sarà, proprio per l’aumento del prezzo, l’ultima volta che ci incontriamo. Questo però non cambia il giudizio di valore sul vino che è indubbiamente ottimo.
Sangiovese con lunga macerazione e invecchiamento in barrique per un terzo nuove.
A differenza di altre volte, ho stappato la bottiglia a casa e ne ho potuto seguire la dinamica evolutiva. È un vino fondista che acquisisce brillantezza col passare del tempo e si va componendo col tempo un bouquet con ricordi preminenti di marasca e scorza d’arancia, reminiscenze di lavanda e incenso, alloro, residuali sentori di torrefazione e muschio/balsamico. Spiccano al palato la sapidita, la stratificazione e la stoffa di questo Sangiovese. Che è ricco di materia cosi come di scheletro, ha sorso definito, acidità fluida e tannini finissimi vagamente pungenti. Mostra già un certo equilibrio che lo rende godibile. Godibilissmo.
A spingere il suo natante di tappi di sughero, nel grande mare delle cose del vino, sono il vento della curiosità, la “sete di conoscenza” e il piacere di condividere la mensa e la bottiglia. Non ha pregiudizi, non teme gli imprevisti, cambia volentieri idea, beve tutto con spirito equanime pur conservando le sue preferenze.
E questo blog è un diario di bordo a più voci, fatto di sensazioni e mai di giudizi. Sensazioni irripetibili, racconti di cantina, note di degustazione, percezioni talvolta chiare e talvolta oscure, non discorso sul vino, ma discorso dal vino e nel vino. Con l’umiltà di chi sa bene che il dominio dell’ancora da scoprire è vasto, che le bottiglie di vino sono tante e ci vuole molto impegno per berle tutte.
Tre Grandi Baroli – Principiano/Sandrone/Fenocchio
In occasione di una riunione enogastronomica che mancava da un po’ di tempo si decide per un menu di varie portate di carne, Lingua bollita con salsa verde, Trippa in bianco con fagioli e salsiccia, Coniglio al forno con patate e Roastbeef all’aceto balsamico, e tre bottiglie di Barolo. Sicuramente tre dei migliori Barolo in circolazione a un prezzo, se non proprio economico, perlomeno accessibile. Ognuno con una sua precisa, netta identità.
Barolo Boscareto 2016 – Ferdinando Principiano
36 mesi in botti da 30 hl.
Vino Raggiante, luminoso granato chiaro, traslucido, molta energia, ma non solo energia. Ho avuto la fortuna di poter stappare 2008 e 2009 in rapida sequenza non molto tempo fa e mi sono reso conto di cosa può diventare questo vino.
Profumi di arancia navel e melograno, foglia di the, rosmarino, con una nettezza davvero impressiva.
Il sorso è esplosivo, incalzante, austerità declinata in modo approcciabile per cui è un Barolo altamente godibile già nel 2023. Fluisce, scalda, tannini appena rustici, ha ottima dinamica di gusto, spazialità senza impacci ed è già ben definito.
Barolo Boscareto 2016 – Ferdinando Principiano
Barolo Bussia Riserva 90 dì – Giacomo Fenocchio
Monforte d’Alba. Per me il 90 dì di Giacomo Fenocchio rappresenta l’emblema del Barolo tradizionale. 4 anni in botte grande, 90 giorni di macerazione. Ebbi l’occasione di assaggiare il 2011 direttamente dalla botte di invecchiamento e fu un colpo di fulmine.
Si può dire che è giovane e che si sarebbe potuto bere tra trent’anni, ma per me e i miei compagni di tavolo trent’anni sembrano una scommessa troppo rischiosa.
Rubino chiaro, naso progressivo. Marasca, rosa, note balsamiche e di chinotto, genziana. Fedelissimo.
Al palato è risoluto, potente, in questo momento assai compatto, tetragono, uno sviluppo gustativo fatto di piccoli passi. Tannini robusti, molto scheletro, si intravedono come premesso delle potenzialità infinite per un futuro anche remoto, ma per l’intanto con il Roastbeef all’aceto balsamico si fecero buona compagnia.
Barolo Bussia Riserva 90 dì 2015 – Giacomo Fenocchio
Barolo Le Vigne 2015 – Sandrone
Barolo Le Vigne 2015 – Sandrone
Con uve dai vigneti Baudana a Serralunga d’Alba, Villero a Castiglione Falletto, Vignane a Barolo e Merli a Novello è un Barolo che va dichiaratamente e con successo a cercare la misura e l’equilibrio.
Elevazione in rovere francese da 500 litri e 18 mesi di affinamento in bottiglia.
Mette insieme la classicità dell’assemblaggio con un’idea più contemporanea del Barolo.
Di colore più intenso, con predominanti reminiscenze fruttate di corbezzolo e ribes rosso e di spezie dolci, floreale elegante, echi di bosco, cipria, eucalipto. Finezza manifesta.
Vellutato e sapido, ben orchestrato, certamente il più pronto dei tre, eppure nella sua amichevole disposizione mantiene una costante tensione, una forza trascinante senza spigoli e nemmeno cercando di proposito e con animo ostile si riuscirebbe a individuare un punto debole a questo Barolo.
Tre Grandi Baroli – Principiano, Fenocchio, Sandri