Antica Torre, la sala
Mangiare, Ristoranti/Trattorie

Enoteca Ristorante Antica Torre, a Carmignano (Prato)

Il Benestare – a tavola con L’Enonauta #1

Enoteca Ristorante Antica Torre, a Carmignano (Prato)

Indoe vien bona la vite, vien bona la vita. I modi di dire toscani nascondono nel loro repertorio una tale quantità di verità da poter essere sicuri di averne uno che va bene per qualsiasi necessità. Questo in particolare si attaglia benissimo al territorio di Carmignano. Vecchia riserva di caccia della famiglia de’ Medici, il territorio del Barco Reale Mediceo è la patria di uno dei vini più antichi (e buoni) d’Italia, denominazione di origine controllata ante litteram, precursore dei super-tuscan 400 anni prima di Giacomo Tachis e Piero Antinori, ma soprattutto è un gioiello di bellezza abbacinante incastonato quasi segretamente, come in uno scrigno collinare, a due passi dalle brutture delle vie di grande scorrimento tra Pistoia, Prato e Firenze.
E un gioiello incastonato quasi segretamente nel borgo di Carmignano è anche l’Enoteca Ristorante Antica Torre. Una calda sala rustica con pavimento in cotto, alcune pareti in mattoni rossi e un grande camino, alleggerita e illuminata da elementi moderni, espositori e tavoli in vetro, senza tovagliato, in cui si è accolti con impagabile garbo e gentilezza dalla famiglia Verni: lo chef Mattia con zia Michelli in cucina, i genitori Daniele e Michela in sala.
Mattia ha aperto il locale ad appena 24 anni nel marzo 2013, dopo il diploma alla Buontalenti di Firenze e un praticantato, evidentemente non troppo lungo, tra pizzerie, agriturismi e ristoranti, tra cui la Locanda dell’Angelo di Sarzana con lo chef Lorenzo Barsotti.
Per diversi anni l’Antica Torre fa quello che tutti si aspetterebbero in questo angolo di colline: pappardelle, bistecca, ribollita… Poi pian piano il carattere di questo giovane creativo, coraggioso e umile, ma giustamente ambizioso, inizia a incrinare il quadro della perfetta real tuscan experience da cartolina: lo chef si guarda intorno e inizia a divertirsi. Si comincia a inserire un’entrée, si sperimentano diversi tipi di pane e grissini fatti in casa, si inventa un pre-dessert… e insomma Verni ci prende gusto e a un certo punto decide di ribaltare tutto. Un’inversione a 180 gradi di quelle per cui serve davvero tanto coraggio. La virata è netta. Addio menu bistecca, addio ai vecchi clienti, si va verso la cucina cosiddetta creativa. Resta l’atmosfera accogliente, per cui si entra e ci si sente a casa, resta la passione per la materia prima, ma a guardar bene qualche segno avverte subito che la campagna toscana qui mostra di sé un’anima meno stereotipata. Dal camino calano reti da pescatore e materiale illustrativo di un produttore di vino affinato sott’acqua in Val Camonica. La carta è un florilegio di sorprese. Piatti spiazzanti e ambiziosi, poggiati su una rara capacità di orchestrare affinità e contrasti. Si indovina anche l’intenzione che c’è dietro: divertirsi, stupire, sedurre, offrire un’esperienza fuori dal consueto.
Il primo degli amuse-bouche della casa è già una dichiarazione di poetica, per un ristorante circondato da colline di viti e olivi: una falsa oliva di robiola glassata, con un pistacchio come nocciolo, su polvere di oliva disidratata e con una fialetta di olio per condire a piacere. Un divertito omaggio alle radici, una freccia scagliata verso l’altrove.

Tre amuse-bouche

Tre amuse-bouche

Foglia alla cipolla e burro

Foglia alla cipolla e burro

In generale questa doppia anima polarizza la carta nel suo insieme (carne e pesce se la giocano con pari dignità) e i singoli piatti, costruiti su dinamiche non scontate. Per limitarci alle cose che abbiamo provato: la capasanta nel latte di cocco e succo di melograno, ravvivata dal pepe rosa; la calamarata con purea di fave e bottarga che scopre un’entusiasmante verticalità nell’incontro con l’aringa; un vero capolavoro di perizia tecnica la terrina di fegatini con lardo marmorizzato, e il vin santo sferificato a mo’ di caviale a donare una spezzatura più fresca alla sapidità avvolgente del piatto.

Capasanta, latte di cocco e melagrana

Capasanta, latte di cocco e melagrana

Calamarata fave, bottarga e aringa

Calamarata fave, bottarga e aringa

Fegatini, lardo marmorizzato e caviale al vin santo

Fegatini, lardo marmorizzato e caviale al vin santo

Più nella norma l’abbinamento dei pici al cervo con i frutti di bosco cotti nel vino o il galletto in due diverse cotture con un’insalatina di finocchi e arance; comunque riuscitissimi entrambi, di una bontà e un calore confortanti, soprattutto il galletto che prima della frittura attraversa una lunga attesa di 12 ore di cottura a bassa temperatura, cosicché lo scrigno di una panatura ricca e saporita custodisce un tesoro di succosa tenerezza.

PIci al cervo e frutti di bosco cotti nel vino

PIci al cervo e frutti di bosco cotti nel vino

Galletto in doppia cottura

Galletto in doppia cottura

Pirotecnici i dolci, in cui si esalta la voglia di stupire, e di lasciare un ricordo peculiare anche agli occhi: bellissimi l’alveare di panna cotta al rhum (con tanto di api svolazzanti) e la scoppiettante bavarese al cioccolato bianco con frutti di bosco immersa in una nebbia di menta che si alza dal piatto fino a profumare l’intero locale.

Alveare di panna cotta al rhum

Alveare di panna cotta al rhum

Bavarese nella nebbia

Bavarese nella nebbia

Carta dei vini non ricchissima ma con bottiglie di varia qualità e un doveroso occhio di riguardo verso le produzioni del territorio. A mescita si offre la scelta fra tre bianchi, tre rossi, tre rosati e tre champagne, insomma quanto è necessario.
Il conto, va detto, è un poco alto (per tre portate e un paio di calici di vino si sta sugli 80 euro; c’è la possibilità di menu degustazione con 5 portate e 2 calici di vino a 85 euro per la carne e 95 per il pesce) ma l’esperienza non è comune. L’insieme dell’accoglienza, dell’atmosfera, della proposta culinaria trasmettono quel senso complessivo dello star bene, anzi molto bene, che è il primo motivo che ci spinge a desiderare di tornare in un posto, per riunirsi a quel pezzetto di nostalgia che ogni volta lasciamo nelle sue stanze. E se cucine buone ce ne sono molte, luoghi come l’Antica Torre invece sono decisamente più rari, soprattutto nella sempre più artefatta Toscana, e quindi preziosi.

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Bottiglie, Degustazioni, Mangiare

Enonauti in trasferta da Amerigo

Anche nel 2022 siamo dunque riusciti a pranzare da Amerigo a Savigno. Trattoria per cui non si spendono mai abbastanza parole di elogio. Per la cucina, l’accoglienza, la scelta di permettere ai wine lovers di accompagnare le proprie bottiglie alle sempre ottime proposte culinarie.

 

Avevamo cinque bottiglie.

Champagne Drappier Brut Nature
Châteauneuf du Pape Blanc 2020 – Chateau Mont – Redon
Le Trame Chianti Classico 2009 – Podere Le Boncie
Barolo Cannubi 2012 – Giacomo Fenocchio
Kurni 2013 – Oasi degli Angeli

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Champagne Drappier Brut Nature

Blanc de noir (pinot nero) , colore dorato, Caramella d’orzo, pera, crosta di pane, lievi sentori di spezie, bergamotto, bolla fine e continua, fresco, suggerisce un che di ossidativo, ha anche spessore, buon finale con retrogusto speziato e di frutto maturo. Buono, adatto ad aprire il pranzo, ma non mi entusiasma.

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Châteauneaf du Pape Blanc 2020 – Chateau Mont – Redon

Blend di vitigni tipici del sud della Francia, no malolattica, sosta sulle fecce.
A un naso un po’ timido fanno da sponda piacevolezza di beva e una convincente forza e tensione gustativa. Il meglio lo dà dunque al palato. Profumi di pesca bianca, fiori di tiglio, cedro, il vino ha acidità eppure ha un tocco vellutato, volume e profondità.
Riceve apprezzamenti non unanimi, ma la bottiglia termina prima che qualcuno riesca a formulare una frase compiuta. Se il “metro” può essere misura e testimonianza in questo caso depone a suo favore. Dello Châteauneaf du Pape Blanc. Forse troppo giovane, chissà che non si trovasse in quella fase di quiescenza di cui si racconta nei libri.
Per me un ottimo vino.
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Le Trame Chianti Classico 2009 – Podere Le Boncie

Sangiovese con un po’ di Mammolo, Colorino e Foglia Tonda.
Vino tendenzialmente naturale, se mi si passa il termine.
Qui si apre una grande parentesi.
Avevo già bevuto questa stessa bottiglia forse nel 2016 in compagnia di Rudi che oggi l’ha portata al ristorante come allora la portò a casa mia. È un bel rincontarsi dal momento che della prima conservo ancora il vuoto. Colore granato vivo, chiaro, fraganze di buona intensità che ricordano la Carruba, la lavanda, scorza d’arancio, marasca in confettura, torrefazione, a tratti balsamico, qui siamo al punto esatto in cui provare ad apprezzare un sangiovese d’annata e finire felici. Adesso, non l’anno prossimo. Qui siamo arrivati nel momento giusto.
Sorso fresco ben bilanciato, tannini che sono una filigrana, bocca coerente, densità giusta, aroma di bocca di rara piacevolezza, ottima persistenza tutta sul frutto maturo.
Un vino che riberrei cento volte.
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Barolo Cannubi 2012 – Giacomo Fenocchio

Avendo avuto la fortuna di essere presente all’acquisto di questa bottiglia l’assaggiai sul momento alla presenza del Signor Fenocchio, poi l’ho riassaggiata a casa, oggi la riassaggio dopo qualche anno e ne posso apprezzare il suo percorso in bottiglia.
Figlio di un’annata, la 2012, ritenuta minore non è nel frattempo diventato figlio di una annata diversa. E per fortuna vorrei aggiungere.
Il tempo ne ha stemperato l’austerità, resta un vino tattile, un po’ scorbutico, ma ha bei profumi di melagrana, ribes, genziana, foglia di the.
Vino di medio corpo, asciutto nelle forme, fresco, comincia a trovare distensione tra le trame dei tannini, che tendono tuttora a chiudere un po’ il sorso. Secondo me tra tre/quattro anni potrà trovare un punto di evoluzione ulteriore anche se ha già innestato un passo che l’assenza di ricordi di surmaturazione fa pensare possa portare decisamente verso una eleganza più spiccata.

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Kurni 2013 – Oasi degli Angeli

Lo ricordavo più lezioso. Più smaccatamente dolce. Oggi lo trovo dolce, ma tra le altre cose. Non incontra tutti i palati, io stesso non sono un amante del genere “iperconcentrato”, ma ne conservavo una bottiglia per un’occasione ed eccola stappata sul finire del secondo in questo ottimo pranzo da Amerigo.
Montepulciano 100 percento
Con invecchiamento in barriques.
Impenetrabile rubino scuro, Frutti di bosco, cassis, balsamico, cannella, tabacco, molto preciso e al contempo
Il sorso è voluminoso, caldo, ma senza ingombro. Ha una sua dinamica a bassa intensità, una suo modo di vibrare. Tannino smussato, sensazione generale di avvolgenza, persistenza prolungata.
Finendo la bottiglia si sconfina nel Dolce. E si accompagna abbastanza bene anche con la Zuppa Inglese dopo il Capretto.
Un’idea di vino che personalmente non riesco ad apprezzare fino in fondo, ma è un’idea ben realizzata.

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Rigaglie E Champagne / Sincretismo Enogastronomico Entusiasmante

La Rigaglia a Pistoia è quasi un Culto. Così come lo Champagne è oggetto di devozione planetaria. Talvolta si incontrano in questo lembo di Toscana e da questo incontro scaturiscono celebrazioni all’insegna della gioia di vivere, dell’amicizia e della condivisione. Una forma di sincretismo enogastronomico dai risultati sorprendenti. 
Per questa serata si era deciso di accostare alle trippe solo lo Champagne, ma alla fine sono saltati fuori alcuni intrusi di ottima qualità. 

Lampredotto / Centopelli / Trippa / Lingua

Il menù prevedeva le seguenti portate:
Lampredotto lesso risaltato in padell Minestra di Centopelli
Trippa al forno con patate
Lingua bollita con salsa verde

Non perché il cuoco in questo caso fossi io, che non nascondo i fallimenti e gli esperimenti poco felici, ma i piatti erano decisamente ben riusciti. Compresa la trippa al forno con cui mi cimentavo per la prima volta.

Ci siamo bevuti i seguenti vini:
Pouilly Fume 2020 Jean Pabiot
Klabian Malvasia Black Label 2016
Champagne Prisme 2015 Guiborat
Louis Roederer Collection 242
Champagne Brut Platine Maillart
Barbaresco Montestefano 2014 Rivella
Primitivo di Manduria Librante 2018 Luca Attanasio

Nelle serate estremamente ricreative il racconto si fa a memoria andando a ripescare note immateriali vergate su un blocchetto immaginario mentre giustamente ci si gode la compagnia degli amici. Non può che essere dunque approssimativo e sommario.

Pouilly Fume 2020di Jean Pabiot

è stato aperto per accompagnare le ultime fasi di preparazione e le iniziali di impiattamento. Buono, preciso, sull’agrume, fiori bianchi, appena erbaceo, mela, sorso fresco, ma anche di spessore e persistente. Ottimo rapporto q/p. 

Pouilly Fume 2020 di Jean Pabiot

Prisme 15 di Guiborat

(Chardonnay) ha un perlage tra i più possenti mai sperimentati, spara crema di limoni, tropicalità, crosta di pane, floreale, al palato risulta molto fresco e diretto, verticale e affilato, mi è parso un po’ monolitico e graffiante. 

Champagne Prisme 15 Guiborat

Louis Roederer Collection 242

(Pinot nero, meunier e chardonnay con vino di riserva di diverse annate) spicca per eleganza, equilibrio, per la potenza misurata con cui si apre nel bicchiere. Uno champagne la cui genesi è un po’ complicata da spiegare e anche da capire. All’assaggio però lo si può definire immediato. Naso caleidoscopico e espansivo, nocciola, frutta passita, arancia candita, coi minuti mostra una personalità cangiante e vira sullo zenzero, l’uva sultanina. Perlage fino, sorso setoso e ricco con bella persistenza. Dura poco, alla fine lascia un bel sentimento. 

Louis Roederer Collection 242

Maillart Platine

risulta essere il più “vino” dei tre, di gusto pieno, bolla cremosa, ha consistenza,  ricordi fruttati prima che  di lievito e di pasticceria, di spezie, più secco degli altri, con una bella coda sapida. 

Maillart Platine

Malvasia Black Label di Klabian 2016

è un bianco macerato di grande qualità, espressivo e non piallato dalla tecnica di vinificazione, più intenso al palato che profumato, flessuoso, sapido, a tratti opulento. Profumi che ricordano fiori come l’elicriso, erbe aromatiche, albicocca disidratata, il Cappero secco. 

Malvasia Black Label 2016 Klabjan

Barbaresco Montestefano 2014 di Rivella

è un capolavoro che mette insieme rigore e piacevolezza. Anguria, genziana, rosa. Esordio fresco e poi un allungo infinito tutto sul frutto gentile, solo leggermente speziato sul finale, con un tannino fitto e preciso che lascia riemergere l’identità di questo vino nel lunghissimo finale. 

Barbaresco Montestefano 2014 Rivella

Librante 2018 di Luca Attanasio

è un Primitivo di grande sostanza, vino intenso, concentrato, profumato di prugna, mora, spezie dolci, tabacco, che al palato è però definito, senza sbavature, dotato di una freschezza viva che anima questa grande materia e questo alcool non indifferente.

Librante 2018 Luca Attanasio

I bicchieri Zalto che il padrone di casa mette a disposizione degli amici dimostrando fiducia nelle capacità psicofisiche dei presenti, e di questo gliene saremo per sempre grati, arricchiscono la serata. 

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