Bottiglie, Degustazioni

Soave Classico 2021 Roccolo Del Durlo – Le Battistelle

Soave Classico 2021 Roccolo Del Durlo – Le Battistelle

Bella scoperta il Roccolo del Durlo de Le Battistelle. Molti l’avevano forse già scoperto e probabilmente anche premiato, ma è meglio arrivare tardi che non arrivare.

Brillante conferma della incidenza positiva di “ben fatto” che ho potuto riscontrare in una mia ricognizione tra i produttori di Soave. Ben fatto senza spesso difettare in personalità.

Da uve garganega coltivate eroicamente in una delle zone più vocate dell’intero territorio del Soave.

Breve criomacerazione, fermentazione e sosta sulle fecce fini di 8 mesi in acciaio.

Vino molto buono, dal colore intenso, con riflessi dorati, floreale, direi l’osmanto odoroso, profumo di cedro candito, una bella pesca percoca, note agrumate e anche vagamente speziate.

Il sorso avvolge e punge, ha stoffa morbida senza mai indulgere in stucchevolezza, che l’acidità e la salinità rendono leggera per cui risulta godibile, bevibile e altamente piacevole. La dualità di questo vino è la sua primaria forza, la complementarità di queste due anime, la materia che è spessa, a tratti oleosa, e la forza tattile che in sinergia piena portano il sorso lontano, in un finale importante che rievoca la frutta a nocciolo, gli agrumi, un quid di miele millefiori.

La vocazione del territorio non è un’opinione.

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Antica Torre, la sala
Mangiare, Ristoranti/Trattorie

Enoteca Ristorante Antica Torre, a Carmignano (Prato)

Il Benestare – a tavola con L’Enonauta #1

Enoteca Ristorante Antica Torre, a Carmignano (Prato)

Indoe vien bona la vite, vien bona la vita. I modi di dire toscani nascondono nel loro repertorio una tale quantità di verità da poter essere sicuri di averne uno che va bene per qualsiasi necessità. Questo in particolare si attaglia benissimo al territorio di Carmignano. Vecchia riserva di caccia della famiglia de’ Medici, il territorio del Barco Reale Mediceo è la patria di uno dei vini più antichi (e buoni) d’Italia, denominazione di origine controllata ante litteram, precursore dei super-tuscan 400 anni prima di Giacomo Tachis e Piero Antinori, ma soprattutto è un gioiello di bellezza abbacinante incastonato quasi segretamente, come in uno scrigno collinare, a due passi dalle brutture delle vie di grande scorrimento tra Pistoia, Prato e Firenze.
E un gioiello incastonato quasi segretamente nel borgo di Carmignano è anche l’Enoteca Ristorante Antica Torre. Una calda sala rustica con pavimento in cotto, alcune pareti in mattoni rossi e un grande camino, alleggerita e illuminata da elementi moderni, espositori e tavoli in vetro, senza tovagliato, in cui si è accolti con impagabile garbo e gentilezza dalla famiglia Verni: lo chef Mattia con zia Michelli in cucina, i genitori Daniele e Michela in sala.
Mattia ha aperto il locale ad appena 24 anni nel marzo 2013, dopo il diploma alla Buontalenti di Firenze e un praticantato, evidentemente non troppo lungo, tra pizzerie, agriturismi e ristoranti, tra cui la Locanda dell’Angelo di Sarzana con lo chef Lorenzo Barsotti.
Per diversi anni l’Antica Torre fa quello che tutti si aspetterebbero in questo angolo di colline: pappardelle, bistecca, ribollita… Poi pian piano il carattere di questo giovane creativo, coraggioso e umile, ma giustamente ambizioso, inizia a incrinare il quadro della perfetta real tuscan experience da cartolina: lo chef si guarda intorno e inizia a divertirsi. Si comincia a inserire un’entrée, si sperimentano diversi tipi di pane e grissini fatti in casa, si inventa un pre-dessert… e insomma Verni ci prende gusto e a un certo punto decide di ribaltare tutto. Un’inversione a 180 gradi di quelle per cui serve davvero tanto coraggio. La virata è netta. Addio menu bistecca, addio ai vecchi clienti, si va verso la cucina cosiddetta creativa. Resta l’atmosfera accogliente, per cui si entra e ci si sente a casa, resta la passione per la materia prima, ma a guardar bene qualche segno avverte subito che la campagna toscana qui mostra di sé un’anima meno stereotipata. Dal camino calano reti da pescatore e materiale illustrativo di un produttore di vino affinato sott’acqua in Val Camonica. La carta è un florilegio di sorprese. Piatti spiazzanti e ambiziosi, poggiati su una rara capacità di orchestrare affinità e contrasti. Si indovina anche l’intenzione che c’è dietro: divertirsi, stupire, sedurre, offrire un’esperienza fuori dal consueto.
Il primo degli amuse-bouche della casa è già una dichiarazione di poetica, per un ristorante circondato da colline di viti e olivi: una falsa oliva di robiola glassata, con un pistacchio come nocciolo, su polvere di oliva disidratata e con una fialetta di olio per condire a piacere. Un divertito omaggio alle radici, una freccia scagliata verso l’altrove.

Tre amuse-bouche

Tre amuse-bouche

Foglia alla cipolla e burro

Foglia alla cipolla e burro

In generale questa doppia anima polarizza la carta nel suo insieme (carne e pesce se la giocano con pari dignità) e i singoli piatti, costruiti su dinamiche non scontate. Per limitarci alle cose che abbiamo provato: la capasanta nel latte di cocco e succo di melograno, ravvivata dal pepe rosa; la calamarata con purea di fave e bottarga che scopre un’entusiasmante verticalità nell’incontro con l’aringa; un vero capolavoro di perizia tecnica la terrina di fegatini con lardo marmorizzato, e il vin santo sferificato a mo’ di caviale a donare una spezzatura più fresca alla sapidità avvolgente del piatto.

Capasanta, latte di cocco e melagrana

Capasanta, latte di cocco e melagrana

Calamarata fave, bottarga e aringa

Calamarata fave, bottarga e aringa

Fegatini, lardo marmorizzato e caviale al vin santo

Fegatini, lardo marmorizzato e caviale al vin santo

Più nella norma l’abbinamento dei pici al cervo con i frutti di bosco cotti nel vino o il galletto in due diverse cotture con un’insalatina di finocchi e arance; comunque riuscitissimi entrambi, di una bontà e un calore confortanti, soprattutto il galletto che prima della frittura attraversa una lunga attesa di 12 ore di cottura a bassa temperatura, cosicché lo scrigno di una panatura ricca e saporita custodisce un tesoro di succosa tenerezza.

PIci al cervo e frutti di bosco cotti nel vino

PIci al cervo e frutti di bosco cotti nel vino

Galletto in doppia cottura

Galletto in doppia cottura

Pirotecnici i dolci, in cui si esalta la voglia di stupire, e di lasciare un ricordo peculiare anche agli occhi: bellissimi l’alveare di panna cotta al rhum (con tanto di api svolazzanti) e la scoppiettante bavarese al cioccolato bianco con frutti di bosco immersa in una nebbia di menta che si alza dal piatto fino a profumare l’intero locale.

Alveare di panna cotta al rhum

Alveare di panna cotta al rhum

Bavarese nella nebbia

Bavarese nella nebbia

Carta dei vini non ricchissima ma con bottiglie di varia qualità e un doveroso occhio di riguardo verso le produzioni del territorio. A mescita si offre la scelta fra tre bianchi, tre rossi, tre rosati e tre champagne, insomma quanto è necessario.
Il conto, va detto, è un poco alto (per tre portate e un paio di calici di vino si sta sugli 80 euro; c’è la possibilità di menu degustazione con 5 portate e 2 calici di vino a 85 euro per la carne e 95 per il pesce) ma l’esperienza non è comune. L’insieme dell’accoglienza, dell’atmosfera, della proposta culinaria trasmettono quel senso complessivo dello star bene, anzi molto bene, che è il primo motivo che ci spinge a desiderare di tornare in un posto, per riunirsi a quel pezzetto di nostalgia che ogni volta lasciamo nelle sue stanze. E se cucine buone ce ne sono molte, luoghi come l’Antica Torre invece sono decisamente più rari, soprattutto nella sempre più artefatta Toscana, e quindi preziosi.

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Bramaterra 2010 – Antoniotti

Bramaterra 2010 – Antoniotti

Una splendida bevuta che ha bisogno di una premessa. Bevvi la stessa bottiglia qualche anno fa in un ristorante del quartiere San Salvario a Torino durante un diluvio, lo Scannabue (www.scannabue.it). Lo cito, non per fare pubblicità, perché la scoperta fu indotta dall’entusiasmo del sommelier nel proporsi di scegliere un vino, a suo dire particolare, per degli amanti del nebbiolo. Apprezzo questo entusiasmo quando mi sembra provenire da qualcuno che sembra competente e sincero al solito tempo.

Arrivò in tavola questo Bramaterra 2010 della cantina Antoniotti che riscosse un grande successo. Andai poi in seguito a conoscere la famiglia Antoniotti e a procurarmi questa bottiglia di stasera in quel di Sostegno.

Bevute anche altre annate (leggi qui ad esempio), ma nessuna come questa.

Vino perfettamente compiuto, per esecuzione, piacevolezza, carattere e anche originalità.

È nebbiolo con 20 percento di Croatina, 7 percento di Vespolina e 3 percento di Uva Rara. Cemento e botte grande per tre anni, approccio tradizionale.
Il vino è granato, integro fino al bordo, pieno, luminoso, ampio ed aperto da subito, intenso, con aromi nettissimi di rosa, lampone, ciliegia matura, chiodo di garofano e speziatura che sottolineano il buon uso dei vitigni complementari e che a questo Bramaterra donano una personalità davvero unica. È inoltre lievemente etereo, con ricordi di radici, appena un po’ di scorza di arancio. Rigore e precisione rari.
Nel sorso tutti gli elementi convergono affinché l’esperienza sia entusiasmante. Tenore alcolico misurato, acidità e salinità davvero importanti, ma che non tagliano mai il flusso di gusto, ne sono invece propulsore infinito. Tannino finissimo, di buona forza e non smussato, un ricamo, centro bocca fruttato, pieno, definito e gustoso. Il Finale è lungo, rinfrescante dove trova il modo di essere rievocato tutto ciò che era stato suggerito al naso.

98 punti, ma anche 100.

Bramaterra 2010 - Antoniotti

Bramaterra 2010 – Antoniotti

Bramaterra 2010 - Antoniotti

Bramaterra 2010 – Antoniotti

Bramaterra 2010 - Antoniotti

Bramaterra 2010 – Antoniotti

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Riesling Silberberg de Rorschwihr – Rolly Gassmann

Riesling Silberberg de Rorschwihr – Rolly Gassmann

Come si parla di un vino che non incontra i nostri gusti? Possiamo definire buono un vino ben fatto e di indubbia qualità, che però soggettivamente, ed onestamente, non ci piace? Difficile dare una risposta semplice ad un quesito complesso. Difficile rispondere in maniera univoca, almeno per me. Quando scriviamo intorno ad un vino, esprimiamo sempre almeno in parte, una forma di “giudizio”, che non vuole essere una sentenza, ma certamente non possiamo sfuggire completamente dall’esercizio di una valutazione soggettiva e personale. Scrivere è sovente raccontare del proprio incontro con l’altro, ed anche scrivere di vino (o del vino o intorno al vino) è la storia di un incontro ermeneutico e fenomenologico con un elemento a suo modo vivente.

I dubbi ed i quesiti di cui sopra, mi sono soggiunti dopo aver bevuto questo Riesling alsaziano in purezza, proveniente dalla storica Cantina Rolly Gassman situata a nord di Colmar, al confine tra il basso e l’alto Reno. Vinificazioni parcellari dal lieu-dit Silberg de Rorschwihr in tini d’acciaio, maturazione in botte grande e lungo affinamento in bottiglia.

Il suo giallo paglierino brillante sprigiona potenti note floreali, pesca nettarina e albicocca matura, frutta esotica, note minerali di pietra focaia e tipici sentori di idrocarburi. Al palato l’ingresso è spietatamente morbido, succoso, quasi un nettare, con una prevalenza dolce che avvolge il palato in maniera peculiare, dirompente. A primo acchito sembra un vino da dolce, ma poi arriva fortunatamente una coda acida e salina che ci ricorda che si tratta comunque di un Riesling Renano di 13 anni, ufficialmente secco. Buona la coerenza gusto-olfattiva, ma il sorso è penalizzato a mio avviso dal netto squilibrio morbidezza-durezza, che rendono poco fluido ed invitante il sorso.

Credo di aver incontrato questo Riesling nel suo momento di massimo espressione, ma partendo dal presupposto che non amo particolarmente il vitigno (fatta eccezione dei grandi Riesling tedeschi!), il problema rimane a mio avviso l’estrema dolcezza al palato, che ne fa un vino poco in equilibrio e difficilmente adatto al pasto. Il produttore consiglia di abbinarlo a frutti di mare, crostacei e salmone, ma la mia esperienza con quest’ultimo è stata decisamente contrastante per non dire “cozzante”. Forse meglio con formaggi stagionati, erborinati, terrine e paté, fois gras. Forse ancora meglio da solo.

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Soave Classico “Foscarino” 2020 – Inama

Soave Classico “Foscarino” 2020 di INAMA

Conservavo un bel ricordo del Soave Classico “Foscarino” 2020 di Inama dalla sera in cui lo scorso anno lo incontrai durante una degustazione alla cieca in cui, sinceramente, non lo seppi individuare e non ricordo per quale altro vino lo scambiai. Però risultò apprezzato e allora eccoci qui a carte scoperte a riprovare.

Garganega che fermenta per il 30 percento in acciaio e per il restante 70 percento in barrique usate. Dopo sei mesi di sosta sulle fecce viene trasferito in acciaio.

Colore giallo vivido, intenso, un naso variegato che propone il fiore della ginestra, il lime, foglia di basilico, pesca gialla, suggestioni fumé, profumi comunque netti e incisivi, prolungati.
Il sorso è preciso, presente, con forza espressiva e di gusto, freschissimo e salino/minerale con un tratto di opulenza che è più un suggerimento, una epifania che una sensazione tattile. Finale coerente con reminiscenza di nespola o altro frutto giallo con nocciolo, ancora le erbe aromatiche.
Una bella conferma.

Soave Classico "Foscarino" 2020 - Inama

Soave Classico “Foscarino” 2020 – Inama

Soave Classico "Foscarino" 2020 - Inama

Soave Classico “Foscarino” 2020 – Inama

Soave Classico "Foscarino" 2020 - Inama

Soave Classico “Foscarino” 2020 – Inama

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