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Gevrey-Chambertin 1er Cru 2006 – Domaine Denis Mortet

Gevrey-Chambertin 1er Cru 2006 – Domaine Denis Mortet

Fermo restando che le bottiglie è giusto che riposino in cantina per il tempo necessario a dargli la giusta forma sperata, credo di poter affermare che la esatta collocazione di una bottiglia è sempre la tavola. Tra i bevitori. Prima o poi questo è il momento culminante della vita di un vino. Nel bene e nel male. Questa bottiglia bevuta con gli amici lo conferma, condivisa generosamente da M. N. e stappata da Alberto Bettini della Trattoria da Amerigo dove è stata ottima compagna delle loro sempre ottime proposte culinarie, tra cui il famoso Uovo che in foto è in primo piano.

Il colore è decisamente vivo in relazione all’età e non si discosta dal rubino fitto.

Fragrante, netto, intenso con sentori di frutti rossi, ematici, fortemente speziati, ricordi di muschio e foglie.

Vino di gran tempra e di notevole caratura. In tecnovinese lo si direbbe di medio corpo, un medio più sbilanciato verso il pieno. Non ha ceduto per niente al tempo che pare invece aver consentito al vino di digerire la “legnosità”, certo non per perderla, per renderla organica.  Una legnosità originaria che io posso solo immaginare e che magari qualcun altro potrebbe confermare (o no).

Adesso è un vino decisamente stratificato e profondo, dalla dinamica di gusto continua, incalzante, con freschezza nordica che immagino abbia trovato con gli anni lo spazio che forse all’inizio mancava (anche in questo caso qualcuno potrà dire la sua). Impeccabile, equilibrato, avvolgente e dalla persistenza decisamente rara.

Non il prototipo dell’eleganza asciutta e talvolta un po’ impalpabile della Borgogna, è un vino che evidenzia un’idea precisa e ben eseguita del Pinot Nero.

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Mersault “Les Narvaux” 2010 – Domaine Remi Jobard

Mersault “Les Narvaux” 2010 – Domaine Remi Jobard

Non una bevuta come un’altra. Prima di tutto le bottiglie erano tre. Le prime due per un ritrovo tra amici in cui la prima risultò eccezionale e la seconda, sfortunatamente con tappo poco performante, decisamente ossidata e con tutti marcatori di un prematuro invecchiamento. Secondo, al nome Remi Jobard sono associate parole unanimi di entusiasmo ed apprezzamento. Per me è la prima volta.

Per questo Mersault, ovviamente, Chardonnay da vigne che all’epoca avevano tra i 30 e 40 anni. Più vigna che cantina, due anni in legno,  nuovo per il 20 percento.

La prima bottiglia eccezionale, così come la terza. Ovvero questa. 

Colore giallo intenso luminoso con ampio e finissimo corredo olfattivo.

Con reminiscenze di narcisi, Mango, cedro, pinoli, orzata. A margine dei sentori principali un filo di burro salato, vino dal bouquet possente, inebriante anche e soprattutto dopo l’arieggiamento.

Il Sorso è frontale, freschissimo, dalla direzione precisa. Col tempo diventa un vino ricco, lussureggiante, profondo, stratificando il sapore su una moltitudine di livelli e con Qualità di gusto e presenza in bocca straordinarie restando sempre agile.

Un florido bianco quattordicenne che ci racconta una moltitudine di cose su quanto  può invecchiare, e su quanto virtuosamente possa farlo, il vino e sulle cause della sua talvolta prematura dipartita. Cause da non ricercare nella “sfortuna”.

Enonauta/Degustazione di Vino #416 - review - Mersault "Les Narvaux" 2010 - Domaine Remi Jobard | vino emblematico e di micidiale bontà
Enonauta/Degustazione di Vino #416 - review - Mersault "Les Narvaux" 2010 - Domaine Remi Jobard | vino emblematico e di micidiale bontà

Mersault “Les Narvaux” 2010 – Domaine Remi Jobard

Not a drink like any other. First of all there were three bottles. The first two for a meeting with friends in which the first was exceptional and the second, unfortunately with a poorly performing cork, decidedly oxidized and with all the signs of premature aging. Second, the name Remi Jobard is associated with unanimous words of enthusiasm and appreciation. It’s the first time for me.

For this Mersault, obviously, Chardonnay from vines that were between 30 and 40 years old at the time. More vineyard than cellar, two years in wood, 20 percent new.

The first bottle was exceptional, as was the third. Or this one.

Bright intense yellow color with a broad and very fine olfactory profile.

With reminiscences of daffodils, mango, cedar, pine nuts, orgeat. Alongside the main aromas, a drizzle of salted butter, a wine with a powerful bouquet, inebriating even and above all after aeration.

The Sorso is frontal, very fresh, with a precise direction. Over time it becomes a rich, lush, deep wine, stratifying the flavor on a multitude of levels and with extraordinary quality of taste and presence in the mouth while always remaining agile.

A thriving fourteen-year-old white wine who tells us a multitude of things about how much wine can age, and how virtuously it can do so, and about the causes of its sometimes premature demise. Causes not to be found in “bad luck”.

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Mersault "Les Tessons" 2018 - Domaine Michel Bouzereau et Fils
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Mersault “Les Tessons” 2018 – Domaine Michel Bouzereau et Fils

Mersault “Les Tessons” 2018 – Domaine Michel Bouzereau et Fils

Dispiace per l’unica foto disponibile perché un vino epico, che tutti i presenti si ricorderanno a lungo, avrebbe meritato miglior documentazione. Però ero impegnato con la griglia, la zuppa di pesce  e l’Ombrina da 3 kg. 

Ricevuta in regalo per il mio cinquantesimo, le uniche informazioni che avevo prima dello stappo erano a proposito del passaggio in legno, solo 25% nuovo, e il commento di un amico “Bouzereau è un grande!“. È stato qualche anno in cantina e sentivo che era il momento giusto e non mi sbagliavo.

Assaggiandolo avrei detto fermentazione e affinamento in legno con sosta sulle fecce. Ed è effettivamente uno Chardonnay che matura 18/24 mesi in barrique per tre quarti usate, ma non trovo notizia del vaso di fermentazione e della eventuale sosta sulle fecce.

Colore concentrato, brillantezza esemplare, bouquet limpido con ricordi di  cedro, cedro candito, ananas maturo, enotèra/enagra selvatica, e poi le spezie, il fiore di cappero, un filo di balsamicità. Bellissimo al naso. Bellissimo.

Al palato è intenso, spaziale/stratificato, evocativo, con acidità diretta ben fusa dentro la materia che ha stoffa spessa, morbidezze ben calibrate e fusione è davvero la parola chiave per descrivere questa esperienza. La perfetta fusione di una serie di elementi a comporre una “lega” senza difetti, dalla forza espressiva inarginabile e con un finale a dir poco epico dove si rievocano molto frutto, molte spezie.

Vino da 98 punti minimo per chi gradisce la valutazione in punti. 98 in senso assoluto. In tavola c’erano la zuppa di pesce e un’ombrina alla griglia da 3 kg. Non il migliore degli abbinamenti, sarebbe sicuramente andata meglio con un coniglio, ma valido.

Enonauta/Degustazione di Vino #341 - review - Mersault "Les Tessons" 2018 - Domaine Michel Bouzereau et Fils | vino epico, che tutti i presenti si ricorderanno a lungo
Mersault “Les Tessons” 2018 – Domaine Michel Bouzereau et Fils
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Mersault “Les Tessons” 2018 – Domaine Michel Bouzereau et Fils
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ombrina da 3 kg
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Chambolle-Musigny “Les Charmes” Premier Cru 1991 – Domaine Amiot-Servelle

Chambolle-Musigny “Les Charmes” Premier Cru 1991 – Domaine Amiot-Servelle

Non posso che scrivere un elogio al tempo che scorre ed alla pazienza di aspettarlo. Ma anche alla necessaria fortuna, all’occasione ed alla scommessa. Ho acquistato questo Les Charmes 1991 ad un asta di vini online, ambiente al quale ammetto di essere ben poco avvezzo e tanto meno appassionato. Confesso anche di essermi appoggiato ad Armando Castagno ed alla sua “bibbia” sulla Borgogna (più corretto dire sulle sue vigne) dove parla del Climat “Les Charmes” come uno dei luoghi che hanno contribuito maggiormente alla costruzione del mito di Chambolle come massima espressione di finezza e complessità. Sempre Castagno lo definisce un Premier Cru che nelle migliori annate rivaleggia, senza timore reverenziale, nei confronti di molti blasonati Gran Cru della Côte d’Or, capace di invecchiare 20 anni e più senza scomporsi. L’annata 1991 si configura come ottima e molto equilibrata, messa forse in ombra dalla monumentale 1990, considerata tra le migliori annate del secolo in Borgogna. Il Domaine Amiot-Servelle, attivo da circa un secolo, si è convertito nel 2003 alle pratiche biologiche certificate in vigna e persegue un approccio poco interventista in cantina (lieviti autoctoni, filtrazioni minime o del tutto assenti, piccole dosi di solforosa all’imbottigliamento). Dopo un’estate di riposo in cantina ho deciso di aprirla senza particolari motivi, per una cena piuttosto semplice, e nella speranza che il vino stesso fosse l’occasione ed il pretesto per un viatico speciale. Dopo tre-quattro ore dall’apertura, il vino si è prentato in un bella veste rosso rubino con riflessi granato, ancora vivo e luminoso. Al naso contratto e reticente, piccoli frutti rossi sottospirito, cuoio, leggero accento boisé. Al palato invece appariva un vino scarno, privato per sottrazione nel tempo di tutti gli elementi vitali e costituenti. Lasciando invece spazio ad una acidità netta, tagliente ed invasiva, non certo segno di gioventù. Deluso, disilluso, e forse aiutato da un pizzico di lungimiranza inconscia, ho deciso di archiviare la bottiglia come interlocutoria, ed ho aperto un altro vino per la serata, cercando di andare sul sicuro. Il giorno seguente, a pranzo, si è palesata ed incarnata nel calice la mitica “magia della Borgogna”. Il vino aperto 16 ore prima era completamente trasformato, rivoluzionato, risorto. Dalla sua possibile e prematuramente “morte” dichiarata, questo Chambolle-Musigny si palesava come il miglior Borgogna mai assaggiato fino ad oggi. Al naso una complessità estrema, stratificata ed intersecata al millimetro, in un gioco di sentori di sottobosco (tra cui netto il tartufo bianco, i funghi freschi, l’humus), piccoli frutti rossi maturi, spezie, goudron, torrefazione. Al palato il velluto di Chambolle si è manifestato in tutta la sua eleganza. Impatto morbido e suadente, tannini sferici di rara eleganza, sorso coerente, fluido, delicato ma non esile, ben sorretto ancora da una certa freschezza, che con garbo ed equilibrio guidava la dinamica del sorso verso un finale minerale e sapido molto lungo e gratificante. Un vino emozionante, di rara eleganza, che mi ha regalato un esempio archetipico di cosa possa esprimere un grandissimo Pinot Noir nella Côte de Nuits, dopo 30 anni. Ma come dicevo in apertura questo è anche un elogio alla lentezza, alla pazienza di saper aspettare e rispettare i tempi dell’altro. Al tempo che scorre inesorabile e in alcuni casi, come per questo magnifico vino, con una fiducia incrollabile.

Enonauta/Degustazione di Vino #266 - review - Chambolle-Musigny "Les Charmes" Premier Cru 1991 - Domaine Amiot-Servelle | elogio alla pazienza
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Enonauta/Degustazione di Vino #266 - review - Chambolle-Musigny "Les Charmes" Premier Cru 1991 - Domaine Amiot-Servelle | elogio alla pazienza
Enonauta/Degustazione di Vino #266 - review - Chambolle-Musigny "Les Charmes" Premier Cru 1991 - Domaine Amiot-Servelle | elogio alla pazienza
Carte des vins de Chambolle-Musigny et De Morey-St-Denis

Chambolle-Musigny “Les Charmes” Premier Cru 1991 – Domaine Amiot-Servelle

I can only write praise for the passing of time and the patience to wait for it. But also to the necessary luck, the opportunity and the bet. I purchased this Les Charmes 1991 at an online wine auction, an environment to which I admit I am very unaccustomed and much less passionate. I also confess that I relied on Armando Castagno and his “bible” on Burgundy (more correct to say on its vineyards) where he speaks of the Climat “Les Charmes” as one of the places that contributed most to the construction of the myth of Chambolle as the maximum expression of finesse and complexity. Castagno always defines it as a Premier Cru which in the best years rivals, without awe, the many renowned Grand Crus of the Côte d’Or, capable of aging for 20 years or more without getting upset. The 1991 vintage is excellent and very balanced, perhaps overshadowed by the monumental 1990, considered among the best vintages of the century in Burgundy. Domaine Amiot-Servelle, active for about a century, converted in 2003 to certified organic practices in the vineyard and pursues a low-interventionist approach in the cellar (native yeasts, minimal or no filtration, small doses of sulfur dioxide at bottling). . After a summer of rest in the cellar I decided to open it for no particular reason, for a rather simple dinner, and in the hope that the wine itself would be the occasion and pretext for a special viaticum.

Three-four hours after opening, the wine showed a beautiful ruby ​​red color with garnet reflections, still alive and bright. Contracted and reticent on the nose, small red fruits in alcohol, leather, light woody accent. On the palate, however, it appeared to be a sparse wine, deprived over time of all the vital and constituent elements. Instead, leaving room for a clear, sharp and invasive acidity, certainly not a sign of youth. Disappointed, disillusioned, and perhaps aided by a pinch of unconscious foresight, I decided to archive the bottle as an interlocutory, and I opened another wine for the evening, trying to be on the safe side. The following day, at lunch, the legendary “magic of Burgundy” was revealed and embodied in the glass. The wine opened 16 hours earlier was completely transformed, revolutionized, resurrected. From its possible and prematurely declared “death”, this Chambolle-Musigny revealed itself as the best Burgundy ever tasted to date. On the nose an extreme complexity, layered and intersected to the millimetre, in a play of undergrowth scents (including clear white truffle, fresh mushrooms, humus), small ripe red fruits, spices, tar and roasting. On the palate the Chambolle velvet manifested itself in all its elegance. Soft and persuasive impact, spherical tannins of rare elegance, coherent sip, fluid, delicate but not thin, well supported by a certain freshness, which with grace and balance guided the dynamics of the sip towards a very long and rewarding mineral and savory finish. An exciting wine, of rare elegance, which gave me an archetypal example of what a great Pinot Noir in the Côte de Nuits can express, after 30 years. But as I said at the beginning this is also a praise to slowness, to the patience of knowing how to wait and respect each other’s times. With time passing inexorably and in some cases, as for this magnificent wine, with unshakable confidence.

Enonauta/Degustazione di Vino #266 – review – Chambolle-Musigny “Les Charmes” Premier Cru 1991 – Domaine Amiot-Servelle | elogio alla pazienza

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Le Vendangeur Masqué Chablis 2018  – Alice et Olivier De Moor

Le Vendangeur Masqué Chablis 2018 – Alice et Olivier De Moor

Le Vendangeur Masqué Chablis 2018 – De Moor è uno chablis elaborato dal Domaine De Moor con uve di altri vignaioli nel villaggio chiamato Courgis vicino al comune di Chablis (Borgogna). L’ispirazione di base è quella naturale. Il vitigno è lo Chardonnay.
Pressatura, fermentazione spontanea in legno usato e affinamento nello stesso per 12 mesi.

Premessa: finita la bottiglia ne avrei aperta subito un’altra.

Enonauta/Degustazione di Vino #260 - review - Le Vendangeur Masqué Chablis 2018 - Alice et Olivier De Moor | Arioso, intenso, percussivo
Alice et Olivier De Moor

Uno Chablis profumato e di colore giallo pieno e luminoso, con ricordi di lime, mela opal, frutti esotici, note petroso/minerali, reminiscenze di noce pecan, erbe aromatiche e floreali. Arioso, intenso, percussivo.
Acidità netta, rinfrancante, dentro un sorso che rivela maturità, fruttuosità, a tratti morbidezza, profondità, tenuta. In una tensione/alternanza continua tra queste due anime.
Persistenza memorabile.

Enonauta/Degustazione di Vino #260 - review - Le Vendangeur Masqué Chablis 2018 - Alice et Olivier De Moor | Arioso, intenso, percussivo
Alice et Olivier De Moor

Come premesso ne avrei bevute due di fila.

Dispiace per l’impronta di calcare sul bicchiere che comunque, se pure peggiora l’immagine, non inficia il valore assoluto del liquido nel bicchiere.

Enonauta/Degustazione di Vino #260 - review - Le Vendangeur Masqué Chablis 2018 - Alice et Olivier De Moor | Arioso, intenso, percussivo
Alice et Olivier De Moor

Le Vendangeur Masqué Chablis 2018 – De Moor

is a chablis elaborated by Domaine De Moor with grapes from other winemakers in the village called Courgis near the municipality of Chablis (Burgundy). The basic inspiration is natural. The grape variety is Chardonnay.
Pressing, spontaneous fermentation in used wood and aging in the same for 12 months.

Premise: once I finished the bottle I would immediately open another one.

Enonauta/Wine Tasting #260 – review – Le Vendangeur Masqué Chablis 2018 – Alice et Olivier De Moor | Airy, intense, percussive
Alice and Olivier De Moor
A fragrant Chablis with a full and bright yellow colour, with hints of lime, opal apple, exotic fruits, petrous/mineral notes, reminiscences of pecan nut, aromatic and floral herbs. Airy, intense, percussive.
Clear, refreshing acidity, in a sip that reveals maturity, fruitiness, at times softness, depth, stability. In a continuous tension/alternation between these two souls.
Memorable persistence.

Enonauta/Wine Tasting #260 – review – Le Vendangeur Masqué Chablis 2018 – Alice et Olivier De Moor | Airy, intense, percussive
Alice and Olivier De Moor
As mentioned, I would have drunk two in a row.

I am sorry about the limescale mark on the glass which, although it worsens the image, does not affect the absolute value of the liquid in the glass.

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LOVE and PIF 2017 – Aligotè – Domaine Recrue des Sens

LOVE and PIF 2017 – Aligotè – Domaine Recrue des Sens

Yann Duriex è un giovane vignaiolo che dal 2010 (dopo aver lavorato a lungo presso il mitico Domaine Prieure Roch) si è messo in proprio nella Hautes-Côtes-de-Nuits, inizialmente con soli due ettare e mezzo (oggi nove) e recuperando vecchie vigne di famiglia, oggi affiancate da parcelle in affitto. Negli ultimi anni è diventato un “vigneron-star” a livello mondiale ed i suoi vini, assolutamente di impronta naturale-artigianale, sono ricercatissimi e molto costosi. Ha scelto, in maniera piuttosto coraggiosa, di rinunciare alla denominazione locale e nelle sue etichette (tutte in stile iper-moderno/fumettistico) non compare nessun riferimento enografico alla Borgogna. Questa scelta non è certamente una mancanza di riconoscenza nei confronti di un territorio che conosce profondamente, quanto una scommessa (a quanto pare vinta) sulle proprie capacità e sulla propria personale idea di fare vino.

Emozionare con un Aligotè da 11% alcolici non è veramente cosa facile. Eppure LOVE and PIF ci riesce in maniera spiazzante. Il vino è delizioso e si posiziona due/tre spanne sopra ogni altro altro Aligoté assaggiato fino ad oggi. Il suo colore giallo paglierino archetipico regala al naso intensi e ben definiti sentori agrumati (in particolare limone e bergamotto), fiori bianchi e miele di acacia. Al palato sprigiona sferzante energia, grande freschezza (lontana dalle iper-acidità di molti Aligotè), sapidità e mineralità. È un vino molto gastronomico (ma non un “glou-glou”) e di corpo è abbastanza fine, senza per questo essere privo di personalità e sostanza. Al palato la materia è presente, il fluido e sempre teso, vivo e dotato di una sua profondità ed ampiezza.

Bevendo questo vino ho avuto la sensazione di trovarmi al cospetto di un’altra categoria. Forse di un fuori classe. Si avverte, come spiazzante, un interrogativo rispetto alle possibilità medie del vitigno. Ci si chiede ad un certo punto: “Ma sarà un Aligotè in purezza?” (lo è). È un vino che a me è piaciuto moltissimo, che avevo preso come entry level (tutt’altro che economico), intimorito dai prezzi degli altri suoi vini (Pinot Noir e Chardonnay). Ma da oggi l’ho appuntato sulla lista dei desideri enoici per il 2022.

Enonauta/Degustazione di Vino #185 - LOVE and PIF 2017 - Domaine Recrue des sense | Emozionare con un Aligotè da 11% alcolici non è veramente cosa facile. Eppure LOVE and PIF ci riesce in maniera spiazzante.
Enonauta/Degustazione di Vino #185 - LOVE and PIF 2017 - Domaine Recrue des sense | Emozionare con un Aligotè da 11% alcolici non è veramente cosa facile. Eppure LOVE and PIF ci riesce in maniera spiazzante.

LOVE and PIF 2017 – Aligotè – Domaine Recrue des Sens

Yann Duriex is a young winemaker who since 2010 (after having worked for a long time at the legendary Domaine Prieure Roch) has set up his own business in the Hautes-Côtes-de-Nuits, initially with just two and a half hectares (today nine) and recovering old family vineyards, now flanked by rented plots. In recent years he has become a “star vigneron” on a global level and his wines, absolutely natural-artisan in nature, are highly sought after and very expensive. He chose, rather courageously, to renounce the local denomination and in his labels (all in a hyper-modern/cartoonish style) no enographic reference to Burgundy appears. This choice is certainly not a lack of gratitude towards a territory he knows deeply, but rather a bet (apparently won) on his own abilities and his own personal idea of ​​making wine.

Getting excited with an 11% alcohol Aligotè is really not easy. Yet LOVE and PIF succeeds in a surprising way. The wine is delicious and ranks two/three heads above any other Aligoté tasted to date. Its archetypal straw yellow color gives the nose intense and well-defined citrus scents (in particular lemon and bergamot), white flowers and acacia honey. On the palate it releases lively energy, great freshness (far from the hyper-acidity of many Aligotè), flavor and minerality. It is a very gastronomic wine (but not a “glou-glou”) and is quite fine in body, without being devoid of personality and substance. On the palate the matter is present, the fluid is always tense, alive and equipped with its own depth and breadth.

While drinking this wine I had the sensation of finding myself in the presence of another category. Maybe someone out of class. There is a surprising question regarding the average possibilities of the vine. At a certain point we ask ourselves: “But will it be a pure Aligotè?” (it is). It is a wine that I liked very much, which I had bought as an entry level (far from cheap), intimidated by the prices of its other wines (Pinot Noir and Chardonnay). But as of today I’ve pinned it on my wine wish list for 2022.

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Gevrey-Chambertin Vieilles Vignes 2018 – Domaine Faiveley

Gevrey-Chambertin Domaine Faiveley Vieilles Vignes 2018

Domaine Faiveley è una delle più grandi ed importante aziende in Borgogna. Nonostante questa sua estensione territoriale e produttiva il suo lavoro rimane improntato sul mantenimento di un elevata qualità, potendo contare anche sul 75% delle vigne in regime biologico. Questo Village di Gevrey-Chambertin 2018 da vecchie vigne (viti comprese tra i 50 e gli 80 anni) cresce su suolo marno-argilloso con elevata presenza di ferro. Follature giornaliere, sulle fecce per 19 giorni, poi 14 mesi in botte di rovere francese con tostatura moderata. In fine due mesi di ulteriore maturazione in vasca.

Colore rosso rubino profondo, penetrabile. Al naso appare didattico, pulito, non troppo inteso ma persistente. Frutta rossa di rovo, amarena, poi un bel floralee scuro dove spicca una netta rosa rossa e una leggera violetta. In chiusura sottobosco con funghi e terriccio.

Al palato è secco, piuttosto morbido, di buon corpo (non troppo per essere un Gevrey C.), con una freschezza presente ma non slanciata ed una discreta mineralità che va a chiudere. Il sorso è coerente, gratificante e ben bilanciato, caldo ma non troppo.

Ho apprezzato questo vino maggiormente il giorno seguente all’apertura, quando l’ho trovato più disteso ed espressivo. Ovviamente è un buon vino, anzi direi ottimo, ma avendo bevuto qualche borgogna negli ultimi anni, non lo posizionerei in un ipotetica “top ten”. È molto equilibrato, gradevole, accompagna bene il pasto ed è assolutamente ben fatto. È un vino che manca però, secondo me, di un poco di poesia. Non emoziona e non stupisce nemmeno per qualche difetto. Il nome è un blasone e forse questo lo penalizza un pò a livello psicologico, poiché pur essendo un village (comunque da vecchie vigne) mi sarei aspettato uno scatto in più. Almeno un allungo che mi facesse ricordare di lui. Anche perché al suo prezzo di vini pronti a raccontarci qualcosa, provare a stupirci e farci ricordare di loro nel tempo, se ne trovano (se si è bravi anche molti). Forse non a Gevrey Chambertin.

Enonauta/Degustazione di Vino #182 - Gevrey-Chambertin Vieilles Vignes 2018 - Domaine Faiveley | Domaine Faiveley grande azienda attenta alla qualità
Enonauta/Degustazione di Vino #182 - Gevrey-Chambertin Vieilles Vignes 2018 - Domaine Faiveley | Domaine Faiveley grande azienda attenta alla qualità

Gevrey-Chambertin Domaine Faiveley Vieilles Vignes 2018

Domaine Faiveley is one of the largest and most important estates in Burgundy. Despite this territorial and productive extension, his work remains based on maintaining high quality, also being able to count on 75% of the vineyards being organic. This Gevrey-Chambertin 2018 Village from old vineyards (vines between 50 and 80 years old) grows on marl-clayey soil with a high presence of iron. Daily pressing, on the lees for 19 days, then 14 months in French oak barrels with moderate toasting. Finally two months of further maturation in the tank.

Deep ruby ​​red color, penetrable. On the nose it appears didactic, clean, not too intense but persistent. Red blackberry fruit, black cherry, then a beautiful dark floral where a clear red rose and a light violet stand out. Finally, undergrowth with mushrooms and soil.

On the palate it is dry, rather soft, full-bodied (not too much to be a Gevrey C.), with a freshness that is present but not slender and a discreet minerality that finishes. The sip is coherent, rewarding and well balanced, warm but not too much.

I appreciated this wine more the day after opening, when I found it more relaxed and expressive. Obviously it is a good wine, indeed I would say excellent, but having drunk some Burgundy in recent years, I would not place it in a hypothetical “top ten”. It is very balanced, pleasant, accompanies the meal well and is absolutely well made. However, in my opinion, it is a wine that lacks a little poetry. It doesn’t excite and doesn’t surprise even with some flaws. The name is a blazon and perhaps this penalizes it a bit on a psychological level, since despite being a village (in any case from old vineyards) I would have expected an extra shot. At least one extension that would make me remember him. Also because at its price you can find wines ready to tell us something, try to amaze us and make us remember them over time (if you are good, even many). Maybe not to Gevrey Chambertin.

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Champagne André Beaufort Brut Reserve e Pinot Noir Bourgogne Haute-Côte de Beaune 2018 Domaine du Lycée Viticole

– Champagne André Beaufort Brut Reserve

– Pinot Noir Bourgogne Haute-Côte de Beaune 2018 Domaine du Lycée Viticole

Pochi giorni fa a Verona ho cenato presso L’Antica Bottega del Vino. Mentre mi rinfrancavo con gli ottimi piatti della tradizionale cucina veneta, essendo solo, ho scelto di bere al calice. Chiacchierando con il competente ed accogliente sommelier ho optato per lo Champagne di André Beaufort Brut Reserve Ambonnay (che non bevevo da qualche tempo) e successivamente un Pinot Noir di Borgogna, precisamente l’Haute Côte de Beaune Domaine Lycée Viticole 2018 (conosciuto, ma non bevuto in precedenza). Innanzi tutto grandi complimenti per il coraggio di tenere (o aprire su richiesta) vini del genere, poiché é sempre più difficile (con le dovute eccezioni del caso) trovare al calice vini di un certo calibro e fuori dalle principali rotte commerciali o modaiole.

Lo Champagne di Beaufort si presenta con un bel colore giallo paglierino brillante. Al naso è molto delicato e non troppo espressivo, con accenni di fiori bianchi, polpa di agrumi e lievitazione. Buon perlage, piuttosto fine, presente e persistente. Al palato è spiazzante. Attacca morbidissimo, cremoso, riempie la bocca con una dolcezza che si percepisce non derivante semplicemente da dosaggi zuccherini elevati, come accade purtroppo ormai in moltissimi champagne (Beaufort utilizza infatti solo lieviti indigeni e zuccheri naturali come il mosto d’uva o il succo d’uva concentrato sia per il tirare che per il dosage). Al contempo è fresco e vivo grazie alla bella acidità e ad una sapidità sferzante che ripulisce il palato e giocando da contraltare al bilanciamento della spiccata morbidezza. Grande persistenza e chiusura con una piacevole e leggera nota ossidativa.

I vini di André Beaufort (tra i pionieri del naturale/biodinamico/biologico nella Champagne) non sono per tutti e non sono certamente accademici. Ma ben vengano anche bollicine come queste che escono dagli schemi tradizionali ingessati da un eccessivo lavoro di cantina e dosaggi che uccidono il vino e la sua possibilità di espressione. Per esperienza con Beaufort si rischia di bere una grandissima bottiglia (sopratutto vecchi millesimi o vecchie sboccature) ma talvolta anche una bottiglia piuttosto squilibrata. La frase “ogni bottiglia è diversa” è estremamente calzante. L’importante è sapere cosa si cerca da una bottiglia di vino, visto anche che i prezzi non sono propriamente economici.

Il Bourgogne Haute-Côte de Beaune 2018 della scuola vitivinicola di Beaune è invece un Pinot Noir a dire poco didattico. Tipico rosso rubino un pò scarico e trasparente. Al naso piccoli frutti rossi croccanti, prugna, ciliegia, viola, accenni speziati. Al palato é secco e fresco, con un pregevole bilanciamento tra morbidezza e verticalità. Bella acidità e mineralità, tannini delicatissimi e vellutati, corpo snello ma presente. Chiude il sorso piuttosto lungo, con un bel sentore di radice di liquirizia. Molto elegante, equilibrato e di ottima beva. È un vino buonissimo da bere ora, senza aspettare troppo per non perderne la fragranza. Tutto quello che ci si potrebbe aspettare da un giovane Pinot Noir di Borgogna prodotto da un Lycée Viticole. È certamente un base, non molto complesso e giovane, ma stiamo parlando di Côte d’Or ad un rapporto qualità-prezzo impressionante. Andate a vedere il prezzo sul sito del produttore (diverso sarà se lo troverete online o a scaffale in qualche enoteca) ed a quel punto, dopo averlo assaggiato, vi sembrerà un piccolo miracolo che si trasforma in vino quotidiano.

Enonauta/Degustazione di Vino #163/164 - review -  Champagne André Beaufort Brut Reserve & Pinot Noir Haute-Côte de Beaune 2018 Lycée Viticole
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