Bottiglie, Degustazioni

Pastourelle 2009 Pauillac – Châteaux Clerc Milon

Da qualche tempo ho rivalutato le mezzette, cominciando ad acquistarne qualcuna, in particolare Borgogna e Bordeaux. Le mezze bottiglie, troppo spesso bistrattate, trovo invece siano un modo intelligente per poter assaggiare più vini (sopratutto se costosi) e contenere la spesa. Oggi ho aperto con piacere questo Pastourelle 2009 (Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 36%, Cabernet Franc 11%, Petit Verdot 2%, Carmenére 1%), secondo vino dello Châteaux Clerc Milon. Siamo nel cuore di Pauillac, poco distanti da Château Lafite Rothschild. Nel 1970, intuendone le potenzialità, fu proprio il Barone più famoso del mondo enoico, ad acquistare i 16 ettari della tenuta, divenuti nel frattempo 40.

Il colore è un rosso rubino carico, impenetrabile, con bellissimi riflessi cremisi. Naso molto complesso, intenso e persistente di viola, sottobosco, funghi, tartufo nero, spinta balsamica e finale mentolato.

Al palato attacca piuttosto morbido e consistente, con evidente intensità estrattiva la quale viene bilanciata da una buona freschezza ed un tannino estremamente levigato ed elegante. Chiude con un finale sulla liquirizia, stranamente un pò corto.

Personalmente ho apprezzato questa bottiglia più di molti altri secondi vini (ma anche alcuni primi) di Châteaux più blasonati.

Non è semplicissimo trovarlo, ma se vi capita di scovarlo ad un prezzo onesto (come nel mio caso) è decisamente un ottimo affare per assaporare un Pauillac 2009 senza svenarsi.

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Etna Rosso 2019 – Pietradolce

Etna Rosso 2019
Pietradolce
Doc

Ci sono vini che regalano grande soddisfazione a prezzi contenuti. Qui ci troviamo davanti a uno di questi vini.

Nerello Mascalese coltivato sul versante nord della Montagna. 18 giorni di macerazione e tre mesi in legno.

Questo vino da l’impressione di essere stato pensato e poi realizzato in modo consequenzialmente felice. In relazione alla tipologia e al prezzo potrebbe anche risultare entusiasmante. Ricorda a tratti un rosato per la poca intensità del colore che è rosso vivissimo, vira sul viola talvolta nel bicchiere, sembra giovane e in effetti lo è, ha profumi di lampone e viola, qualche appena percepibile nota di tostatura, spezie delicate. Levità e precisione.

Piacevole e ben fatto, ha ancora bei legami col frutto da cui discende, che a tratti sembra di masticare, molto vitale, tirato, asciutto, con un tannino di considerevole forza seppure evoluto. Un vino giovane e con un carattere ben definito. Non capita spesso.

Mi ricorda a tratti, senza paragone alcuno e solo per la suggestione generale, certi Chianti Classico di Lamole. Andrebbe bene anche se a qualcuno un certo chianti classico di Lamole ricordasse questo Etna Rosso.

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Quattro In Trasferta Con Quattro Bottiglie (da AMERIGO a Savigno)

Tignanello 2016
Turriga 2015
Agrapart les 7 crus
Macon Verze 2018 Appellation Village – Domaine Leflaive

Talvolta sono dubbioso sul raccontare giornate in cui si stappano quelle bottiglie che polarizzano il pubblico dei bevitori tra entusiasti e polemici acritici. In questo caso si aggiunge anche il tema del BYOB o del diritto di tappo che sempre desta pareri contrastanti.

Andò che partimmo in quattro da Pistoia con quattro bottiglie alla volta della Trattoria da Amerigo in quel di Savigno. Locale fuori dal tempo e dalle traiettorie turistiche dove si sperimenta ogni volta un riuscito connubio di tradizione, tecnica culinaria, amore per il territorio.

Abbiamo inziato con:

Champagne Brut Agrapart & Fils Les 7 Crus sbocc. 2020

Scolastico in senso buono. Lineare, sembra avere più a che fare col vino che con la dosatura, al naso e al palato, e per questo a me piaciuto assai.
Brillantissimo giallo, bolla finissima e duratura, ha struttura, acidità flessuosa, sentori di mela, nespola, ananas, ricordi di erbe mediche e spezie, cedro appena accennato, così come appena accenati sono i rimandi al lievito. Al palato mostra una buona struttura, equilibrio, intensità di gusto, sapidità e ottima persistenza.
L’Azienda Agrapart non poteva inventare viatico migliore ai propri Champagne.

Mâcon Verzé 2018 – Domaine Leflaive

Puligny Montrachet

Delude un po’. Monocorde, citrino, verticale, viene da pensare ciò che non ho mai piacere di pensare ovvero che magari qualcuno nel 2040 lo troverà godibile, ma intanto?
Intanto ha una acidità che non passa inosservata, come un raggio laser verde nel cielo di notte, nessun difetto, abbozza qualche timido tentativo di allargare il ventaglio olfattivo, ma in realtà non si va oltre il citrino, la mela selvatica, in bocca è secco e fresco, ma tende un po’ a defilarsi. Nelle lumache in realtà aveva trovato ottime compagne di viaggio verso lo stomaco, ma su quattro persone al tavolo nessuno si mostrò entusiasta. Nemmeno il gentilissimo cameriere tirato in causa a dire la sua.

Tignanello 2016

Per me Tignanello in una delle sue migliori annate. Nonché una delle migliori bottiglie di vino toscano che abbia avuto la fortuna di stappare. Al momento e in prospettiva. Finezza ed energia, Molto sangiovese, arancio tarocco, lavanda, marasca, qualche ricordo speziato.
Ingresso ad effetto, volume, profondità, è un vino ancor giovane dall’acidità distribuita, ma su tutto al momento svetta un tannino elettrico, dalla trama fitta, nobile. Il finale è sul frutto maturo e le spezie, ma non è un finale per quanto dura. Lunga vita davanti a questo vino. Per tanti sembrerà impossibile, ma è un vino che racconta bene la Toscana più di tanti altri vini per descrivere i quali si abusa del termine “territorialità”.

Turriga 2015

Vino di grande energia, possente, grande dotazione di tutto. Colore rubino scuro, ciliege sotto spirito, mora, erbe aromatiche, remiscenze di cuoio e di affumicati. Il sorso è molto caldo, da meditazione lo preferirei all’Amarone per una sua più spiccata freschezza. Vino di grande impatto, intenso, corposo, si rasenta il corpo a corpo, con tannini ben maturati. Il finale è coerente e tornano la frutta sotto spirito, il mirto. Col coscio di daino affumicato fu amore.

Colgo l’occasione di ringraziare tutto lo staff della Trattoria da Amerigo di Savigno (BO) che ci ha accolti con le nostre bottiglie e ci ha offerto un saggio di grande cucina, gentilezza e di professionalità non comuni.

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Granato 2013 – Elisabetta Foradori

Teroldego? No, grazie. È quello che ho risposto di frequente di fronte alle carte dei vini trentini. Troppo grosso, potente, esplosivo, saporito e profumato. Spesso alterato dal legno, molto alcolico e sospinto sempre più verso dimensioni muscolari e orizzontali. Il Granato 2013 di Elisabetta Foradori, non a caso soprannominata la regina del Teroldego, è tutta un’altra cosa. Soli quattro ettari suddivisi per tre parcelle, terreno alluvionale ghiaioso-ciottoloso, fermentazione in grandi tini aperti, poi 15 mesi di botte. Regime rigorosamente biodinamico dalla metà degli anni ’80.

Il colore è un rosso rubino scurissimo e impenetrabile. Naso abbastanza intenso e molto complesso che approccia in apertura i frutti a bacca rossa maturi, amarena sotto spirito, spezie, cuoio giovane e una folata di balsamico-mentolato finale.

Il grandissimo equilibrio che contraddistingue questo vino, si fa sentire al primo sorso. L’attacco è morbido, fluido, freschissimo ed il finale, non molto lungo, è minerale e sapido. Tannino sottilissimo e levigato, l’alcolicità piuttosto bassa per il vitigno (12.5%) trattiene forse un pò le redini del suo potenziale di espressione nel finale.

Il Granato 2013 è un vino pronto, buonissimo e dotato di grande bevibilità (anche se potrebbe restare in cantina ancora per diverso tempo). Alla cieca è un vino che metterebbe in difficoltà moltissime persone. Il colore ricorda infatti un bellissimo Bordeaux, mentre al palato la sua leggiadria, eleganza e l’equilibrio (quasi) perfetto, ricorda un Borgogna con non troppi anni sulle spalle.

Elisabetta Foradori è una donna molto elegante, colta e determinata. La sua azienda, che ho visitato nel 2017, è molto bella, accogliente e racconta di vini artigianali allo stato puro, storie di persone, terra e vite.

L’unico neo di questo vino, a mio avviso, è il prezzo. La fascia di collocamento é troppo alta almeno di una categoria e questo fattore potrebbe giocare brutti scherzi a livello di aspettative. Per questo non posso dire che il rapporto qualità prezzo sia una delle sue migliori prerogative.

Da provare con carré di agnello, funghi e patate al forno.

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Collio Bianco 2018 “Vigne” – Zuani

Collio Bianco 2018 “Vigne”

Zuani

Collio Doc

Vigne a San Floriano del Collio

Fhriulano, Chardonnay, Pinot Grigio e Sauvignon in parti uguali, solo acciaio.

Vino che si fa notare principalmente per la precisione e la buona struttura che ci raccontano di un ottimo interprete di un territorio dove convivono in armonia internazionali e autoctoni.

Ginestra, Salvia, passion fruit, albicocca, leggermente agrumato, profumi intensi, continui, puliti. L’ingresso è caldo, spesso e confortante. Poi una progressione che mostra una bella anima sapida, una freschezza che avvolge, pienezza di gusto, un lungo finale centrato sul frutto.

Appagante, equilibrato, ben eseguito.

Da tenere a mente se trovato in carta al ristorante per essere certi di evitare roulette russe con vini dall’esito gustativo incerto e che potrebbero farci pentire della scelta e della spesa.

Che in questo caso è a vantaggio del consumatore.

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MÜLLER-CATOIR – Riesling Haardter Herzog Auslese 2009

Storica azienda che si stende lungo la valle del Reno (Palatinato) per circa 20 ettari, con viti di 30-35 anni, in prevalenza di Riesling. Vendemmia manuale estremamente tardiva, fermentazioni in acciaio, lieviti selezionati e nessuna chiarificazione né filtrazione.

Ho avuto la fortuna di bere questo vino per la terza volta negli ultimi due mesi, e posso dire che mi piace. Mi piace molto. Questo Riesling 2009 del “lieu dit” Herzog (non me ne vogliano i tedeschi se non uso il termine germanico “lage“) appare già in tutta la sua forza con uno splendente giallo oro nel calice.

Al naso è intenso e complesso. Subito tanta frutta gialla matura, frutta esotica, albicocca sciroppata, miele di acacia, poi sfumature minerali.

L’attacco in bocca è morbido e vellutato, dolce e carezzevole. Un attimo dopo si sprigiona la forza del Riesling renano nel suo terroir, ed arriva, inconfondibile, una carica di freschezza, mineralità e sapidità che rende il sorso infinitamente più dinamico, complesso ed equilibrato. Siamo di fronte ad un espressione veramente significativa di cosa voglia dire Riesling renano nelle sue forme più importanti. Di quanto questo vitigno e questo magico vino bianco di soli 9% di alcool possano raccontare. E’ un vino estremamente equilibrato, elegante e che, a dispetto dell’elevato residuo zuccherino, non stanca mai. Infatti il bicchiere è sempre vuoto, e la bottiglia finisce molto rapidamente.

Chi è abituato a bere riesling della Mosella troverà che manca quasi completamente, nel bouquet aromatico, la caratteristica nota di idrocarburo. Ma i territori sono differenti ed il vino, in forma strepitosa, è un adulto che vede in alto sulla collina la sua maturità, ma ancora non così vicina (ha davanti come minimo altri 10 anni di espressione al meglio di sè).

Non è molto facile reperire Riesling renani (Mosella, Palatinato, Nahe) con qualche anno sulle spalle (in questo caso già 12). Farlo a prezzi accessibili e onesti è quasi impossibile. Anche da questo punto di vista, se riuscirete a scovarlo, il vino ne esce veramente vincitore.

Relegare questo vino al dolce è un peccato (e forse un errore), io gli preferisco vicino una bella selezione di formaggi stagionati ed erborinati e un crostino con burro e salmone affumicato. Ma come ogni vino molto buono, balla bene anche da solo.

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Schioppettini a confronto: Marco Sara /Lino Casella

Capita anche di bere, per quanto non sia facile andare aldilà dei soliti noti, un paio di Schioppettini a distanza di pochi giorni.

Schioppettino di Prepotto 2015 – Casella – Colli Orientali del Friuli DOC

Schioppettino 2018 – Marco Sara – Colli Orientali del Friuli DOC

29 km di distanza tra le due cantine. Al netto della differenza di annata, due interpretazioni diverse del più territoriale e tradizionale tra i vitigni a bacca rossa del Friuli.

Colore rosso scuro, profumi più evoluti di spezie dolci e mora matura, qualche suggestione di caffè tostato che riporta all’affinamento in legno per lo Schioppettino di Casella, con più corpo, densità, equilibrio e morbidezza, tannini addomesticati. Forse in assoluto lo Schioppettino più corposo che abbia mai assaggiato.

Floreale, vinoso, fresco e vitale lo Schioppettino di Marco Sara. Il colore è purpureo, intenso al naso con sentori floreali, di pepe e lampone. Tannino più intraprendente.

Due vini che riberrei.

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Orestilla 2018 – Montonale – Lugana Doc

Orestilla 2018

Lugana Doc

Montonale

Incontro fatale questo con Orestilla 2018 dell’Azienda Montonale di Desenzano sul Garda. Nacque un vero innamoramento.

Turbiana vinificata in acciaio con lunga sosta sulle fecce e affinamento. in bottiglia. Per rapporto prezzo/soddisfazione, qualità intrinseca e mantenimento delle aspettative generate va tra i migliori assaggi di questi primi sei mesi del 2021.

Il colore è giallo paglierino, aromi vivi e vari per un bouquet per cui si può spendere il concetto di complessità. Tarassaco, cedro candito, mela golden reminiscenze di erbe aromatiche, miele di acacia. Il sorso è intenso, giustamente sapido e fresco, di una freschezza ruvida che fa da sponda alla morbida matericità del vino, al suo spessore, alla pienezza del gusto che si protrae a lungo non durando molto nel bicchiere e nella bottiglia. Finale centrato sul frutto candito, appena balsamico. Come premesso il rapporto prezzo/soddisfazione è buono, cosa che va specificata posizionandosi questo prodotto in una fascia di prezzo non definibile economica.

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