Bottiglie, Degustazioni

Un tranquillo mercoledì sera coi vini di GAJA

UN TRANQUILLO MERCOLEDÌ SERA COI VINI DI GAJA

Gaja Sorì Tildin 1996

Gaja Sorì San Lorenzo 1996

Per iniziare alcune note a margine di un tranquillo mercoledì trasformato in una base enomissilistica.

Il tempo è inesorabile ed equo. Aggiunge elementi di valutazione impagabili che depotenziano molti discorsi sul vino, sul suo valore, sulla costruzione del consenso intorno ad esso, specialmente quelli fatti a priori.

Essere in una società di bevitori è fondamentale. Si migliora confrontandosi, si socializzano spese talvolta insostenibili, ci sono molte cantine a disposizione, la rete di ricerca (quello che ad esempio ha permesso questa serata) è ramificata.

C’erano dunque sul tavolo due vini iconici. Iconici e non solo iconici.

Gaja Sorì Tildin 1996
Gaja Sorì San Lorenzo 1996

Pare che il 1996 sia stato un anno buono nelle Langhe. Questo accresce le già alte aspettative.

Si parte con Sorì Tildin

Sorì Tildin è un vino che sembra aver imboccato elegantenente il viale del tramonto. Superato sicuramente il momento di massimo splendore, probabilmente nel 2015 avrebbe fatto più figura, sta sulla prima parte della discesa.
Colore granato chiaro, il naso è ampio con ricordi di frutta sotto spirito, prugna secca, rimandi eterei, salamoia di oliva, un nota fumosa che con i minuti di trasforma in caffè macinato, rosmarino, cipria. Sensazioni perlopiù condivise dai sei presenti a tavola.

Il sorso è fresco, il tannino è quasi completamente dissolto, forse un po’ esile, ma offre i suoi ultimi lampi fruttati con essenziale forza ed è sapido, profondo. La persistenza è ben oltre la media e sul finale si rievocano il dattero, la polvere di caffè, l’erba aromatica. La gradazione moderata agevola la bevuta.
Elegante maturità, ma era meglio arrivare prima.

Sorì San Lorenzo pare aver avuto un trascorso diverso in questi venti anni circa di bottiglia passati tutti accanto all’altra nella solita cantina.
Quello che si può immaginare come un vino al vertice della curva evolutiva è esattamente questo. Un vino ancora fruttato in cui tutti gli elementi tattili convergono verso un equilibrio quasi esatto.
Il colore tende ancora al rubino, limpido, di piacevolezza immediata che non necessita sforzi di interpretazione. Al naso melograno e spezie, foglia di the e erbe aromatiche, una fruttuosità che lascia di stucco tra note terziarie discrete.
Al palato risulta fresco, stratificato, acidità ampia e distribuita, di rara finezza ed espressività. Un tannino che dà rilievo al sorso come un ricamo tono su tono, c’è levità e intensità di gusto. Il finale chiude un cerchio e si torna al melograno. Un vino dove tutto sembra aver concorso per 25 lunghi anni per arrivare esattamente a creare questo momento di equilibrio assoluto.

Bottiglia memorabile senza esagerazioni.

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Chianti Classico 2016 – Le Masse di Lamole

Chianti Classico 2016 – Le Masse di Lamole

A un chilometro circa dall’abitato di Lamole, sul punto altimetricamente più alto della zona, si trova il borgo da cui la cantina prende il nome. A conduzione familiare, vini identitari, tradizionali, caratterizzati da franchezza espressiva e che sovente mi capita di bere e sempre con soddisfazione. Cantina che ho avuto la fortuna di visitare più volte apprezzando la schietta e discreta ospitalità dei proprietari Annamaria e Giuliano.
Sangiovese. Acciaio e invecchiamento in botti di castagno. Colore rubino di media intensità. Al naso l’arancia è predominante, poi seguono la marasca, l’iris, anice, in bocca freschissimo, lungo, di corpo snello, ma di forza nervosa e con tannini vitali e fruttuosità per un sorso definito e appagante. Finale coerente su arancia e marasca.
Vino di carattere per veri amanti del Sangiovese.
A fine bottiglia ho la sensazione che a Le Masse di Lamole con questo 2016 abbiano prodotto la loro personale migliore interpretazione del Sangiovese.

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Les Enfers 2019 – Mathieu Cosme

Les Enfers 2019
Mathieu Cosme
Chenin Blanc/Vouvray/Loira

Mathieu Cosme a Noizay, paese nella zona sud est di Vouvray, è alla quinta generazione di vignaioli. Domaine condotto in regime biologico-biodinamico dal 2010 (certificato bio nel 2014) con un profilo di basso intervento in vigna come in cantina. La vigna Les Enfers, che dona il nome a questo Chenin Blanc in purezza, è situata nella “Première Côte” di Vouvray. Esposizione a sud, microclima particolarmente privilegiato e caldo che d’estate diviene appunto un “inferno”, come racconta Cosme. Terreno argillo-calcareo, vigne di 40 anni con lavorazione esclusivamente manuale e con il solo utilizzo del cavallo. Fermentazione spontanea in botti da 400l, dove il vino rimane per 12 mesi.

Giallo paglierino carico con riflessi dorati, al naso si presenta esplosivo ed ampio, con frutta gialla matura, accenni di frutta esotica, fiori bianchi, leggere note di marzapane. Il sorso è coerente, molto morbido e caldo, di grande corpo e struttura. Si espande al palato con densità e potenza, un accenno piacevole di dolcezza, molto sapore. A queste sensazioni appaganti di sfericità e impatto materico, si aggiunge la proverbiale freschezza del vitigno, che insieme ad una buona vena minerale-sapida, riequilibrano il sorso che rimane molto lungo e gratificante.

Les Enfers è stata per me è stata una scoperta inaspettata e a dir poco gradita. Bevuto al calice in un enoteca, ho acquistata subito dopo la bottiglia della quale vi sto scrivendo. Si tratta di un grande Chenin Blanc, di rara potenza, generoso e solare, il quale riesce a mantenersi sui binari dell’equilibrio grazie alla buona acidità e mineralità che intervengono in aiuto del sorso, come l’ABS nelle frenate d’emergenza. Non si tratta quindi di uno di quegli Chenin Blanc della Loira tutto acidità sferzante e sapidità, e la bevibilità (che pur ritengo buona) non è certo la migliore caratteristiche di questo vino. Anche se lo Chenin Blanc generalmente invecchia bene, personalmente eviterei di berlo più in là di 3/4 anni dalla vendemmia, potrebbe appesantirsi col tempo.

Il rapporto qualità-prezzo è nella media, ma a mio avviso vale la pena cercarlo a scaffale. Si può abbinare con felicità a piatti di pesce saporiti e conditi, pietanze a base di carne bianca, formaggi stagionati ed erborinati e molto altro ancora. Io, ad esempio, l’ho bevuto con passione insieme ad un hamburger di manzo fatto i casa, farcito con radicchio, gorgonzola e ‘nduja.

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Barolo Gramolere 2013 – Giovanni Manzone

Barolo Gramolere 2013
Giovanni Manzone
Monforte d’Alba

Lunga macerazione, invecchiamento in botti grandi e tonneaux, esposizione a sud e sud ovest in Monforte.

Bevo per la prima volta, ma credo non sarà l’ultima, un vino dell’azienda di Giovanni Manzone e ne resto piacevolmente impressionato. Un Barolo che potrebbe essere definito tradizionale e che combina le suggestioni tipiche di questa tipologia con una struttura importante che ne amplifica la piacevolezza, un Barolo lineare, termine che uso in senso laudativo, espressivo e di carattere aperto al naso e dotato di suadenza gustativa il che lo rende un vino godibile anche in questa fase giovanile. Buono nell’immediato, ma anche a ragion veduta.

Colore rubino intenso, un bouquet intenso e definito con sentori floreali di rosa, ampiamente fruttato con note prevalenti di marasca e melograno, ricordi agrumati e di radice aromatica, lievemente speziato, balsamico.

Al palato esordisce caldo e con discreto volume, c’è concentrazione, ma l’acidità è distribuita e vitale, i tannini che sono un perfetto connubio di forza e maturità. Lungo il finale che è tutto sul frutto in piena coerenza. Vino molto preciso, equilibrato e piacevole che vale ampiamente il suo prezzo e che riberrei e che consiglio vivamente.

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Albarino “Albamar” – Bodegas Albamar 2019

Albarino “Albamar”
Bodegas Albamar 2019
Rías Baixas DO

Non ci si imbatte in un Albarino (o Albariño) tutti i giorni, almeno non alle nostre latitudini. Così come in un qualunque altro vino della Galizia, ed onestamente stando a quento ho trovato nel calice è un vero peccato.

Albamar è ottenuto da uve Albarino, provenienti da vigneti siti sopra l’Oceano Atlantico che poggiano su suoli sabbiosi di origine granitica, e durante le mareggite l’Oceano inonda letteralmente le piante di vite. Agricoltura biologica ed in cantina si prosegue coerentemente, lavorando in modo poco o nulla interventista. Fermentazioni alcoliche spontanee, affinamento per 8 mesi sulle fecce fini in vasche d’acciaio e botti grandi da 20 hl senza filtrazione prima dell’imbottigliamento e minime quantità di solforosa.

Nella sua veste giallo paglierino vivace si porge intensamente al naso, da prima con note aromatiche di agrume e mela, per poi virare nettamente su grandi effluvi salini e iodati. All’assaggio non ho faticato a visualizzare le onde che infrangendosi sulla banchigia arrivano dolcemente fino alla pianta e da essa nel sottosuolo, fino alle radici. Il vino è a dire poco sapido, direi a tratti piacevolmente salato. È questo elemento marino che contraddistigue nettamente anche il sorso, appoggiato da una bella freschezza, da una morbidezza ed una struttura tattile che rendono il sorso profondo, completo e molto gratificante.

Per un palato come il mio che apprezza la mineralità e la sapidità (talvolta anche a costo di perdere un pò l’equilibrio), questo vino della Bodegas Albamar è stato una piacevolissima scoperta, una rivelazione, un viaggio in terre sconosciute.

Con tartare di salmone, avocado e mela golden è stata passione.

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Bezga 2015 – Milič

Bezga 2015 – Milič
Igt Venezia Giulia

Dopo aver incontrato questa bottiglia alcune volte, da solo e in compagnia, avendo osservato le reazioni che ha provocato nei bevitori più disparati e in me stesso, posso dire che si tratta di un vino che emoziona e sorprende.

Da Sagrado di Sgonico nel Carso.
Vitovska e Malvasia in parti uguali. Macerazione per 28 giorni e passaggio in barrique di 2 anni.
Colore giallo intenso, appena opalescente, un orange/non orange che a mio avviso nel panorama locale e tra gli omologhi trova una sua collocazione particolare per la forza espressiva e il controllo di certi elementi che talvolta nei suddetti finiscono un po’ bradi.
Bouquet ampio e penetrante con profumi di nespola, camomilla, zenzero, a lato note tostate e di resina di cipresso.
Proverbiali la vitalità del sorso, la sua profondità e la sua forza di gusto. Questo equilibrio che sembra sempre sul punto di crollare e che invece non crolla e che finisce per donare tensione e divertimento.
Proverbiale anche il rapporto qualità prezzo.

Già ne parlammo qui:
https://www.enonauta.it/2021/04/26/memorie-da-un-aperitivo-ricco/

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