Tra le molte bottiglie transitate sulle tavole natalizie, la maggior parte non certo memorabile, questo Tempranillo della Rioja ha invece colto nel segno. Un vino che farebbe la felicità dei nemici dei vinoni e dell’elevamento in legno. La felicità di poterne dire male.
Eppure.
Eppure è un vino con molti pregi. Ha una bella etichetta, è buono, non costoso, ben eseguito, gagarone quanto basta.
Azienda nel nord della Spagna. Tempranillo da vigne tra i 400 e i 600 metri con elevazione in barrique nuove per il primo anno e di quarto passaggio per il secondo anno.
Colore compatto, radicalmente fruttuoso con ricordi di mora e altri frutti a bacca scura e intorno a questa dominante fruttuosità si sviluppa un corollario di sentori secondari come l’eucalipto, il chiodo di garofano, incenso e cenere spenta, ma a risaltare è sempre il frutto.
Sorso pieno, avvolgente, sviluppa volume, ma anche profondità. Vitale, sapido, calibrato, intenso nel gusto, vino di spessore che però non necessita di un faticoso corpo a corpo per essere gustato.
Un vino che vale ampiamente il costo, tra i 15 e i 20 euri, rapporto prezzo soddisfazione incentivante e infatti lo riberrei più che volentieri e lo consiglio.
Back to the Wine (https://www.backtothewine.com/) per me resterà sempre legato a quella prima e unica volta che nel 2017 tentai, senza successo, di raggiungere Faenza in automobile.
Back to the Wine a Venezia
A Pistoia sembrava, anzi era, una tranquilla giornata autunnale con tempo bello e decisi quindi di raggiungere la Faentina a Borgo San Lorenzo per arrivare poi a Faenza. A Barberino comincia a pioviscolare. A Borgo San Lorenzo a nevischiare. Nell’abitato di Ronta nevica forte e appena usciti dal paese, fatte tre curve, c’è una tempesta di neve. Si possono avvistare le prime auto adagiate a bordo strada, contro il guard rail e presto la mia Skoda Fabia wagon smette di salire e comincia invece a pattinare all’indietro. A quel punto cerco di intraversarla e per pura fortuna l’auto fa una rotazione di 180 gradi e mi ritrovo in discesa. Metto la prima e me ne torno a casa. Non avendo mai potuto vivere la location di Faenza non posso fare paragoni, ma certo il Terminal 103 di Venezia è un luogo adatto a una giornata di degustazioni. Luminoso, suggestivo, raggiungibile comodamente in treno senza doversi inerpicare lungo le pericolose tratte appenniniche in mezzo alle tormente di neve.
Gaspare Buscemi a Back to the Wine
A fronte di alcune perle assaggiate come Alture Bianco 2021 di Gaspare Buscemi da cui abbiamo raccolto una formativa introduzione al come andrebbe e non andrebbe fatto il vino, il Catarratto di Francesco Guccione, gli ottimi vini proposti da Monteversa, il Pallagrello Bianco di Alepa, i sempre sorprendenti vini di Corte Sant’Alda di Mariella Camerani (ne parlai qui), non posso omettere di aver bevuto un buon numero di vini imbarazzanti, di quei vini che che spesso ironicamente chiamo VINI-CILICIO, e più seriamente VINI IDEOLOGICI. Vini certamente frutto di una agricoltura ragionevole e di un fare artigianale, ma che in molti casi mi sono sembrati vini esageratamente disarmonici e sgangherati, non vini espressione di territorio e sapere strutturato in cui la gestione di certi elementi limite finiscono per donare carattere ed espressività. Bensì vini approssimativi.
Francesco Guccione a Back to the wine
Vini che per essere apprezzati necessitano di un grande sforzo di considerazione delle metodiche di produzione fino all’apprezzamento delle metodiche stesse più che le caratteristiche manifeste del vino. Metodiche che al pari degli elementi narrativi, lo storytelling, che spesso peraltro rimestano concetti in modo un po’ confuso, il terroir e la territorialità su tutti, per quanto mi riguarda non riescono ad essere un plusvalore o un incentivo ad apprezzare maggiormente un vino aldilà della sua piacevolezza e della sua buona esecuzione.
Montevesa a Back to the Wine con Enonauta (Simone Molinaroli)
Non che voglia consigliare un miglioramento su questo aspetto, non penso che questo miglioramento ipotetico interessi e penso invece che ormai ci siano scelte radicalmente ideologiche che non tengono più di conto il risultato finale del processo di creazione di un vino e mi permetto di fare questa notazione personale soltanto perché l’incidenza statistica di certe espressioni non si poteva certo ignorare.
Monteversa a Back to the Wine
Mi sento di chiudere con un rimando al manifesto di Viniveri sottoscritto da Sangiorgi e Vodopivec che con ferma e limpida precisione tratteggia l’equivoco di fondo che consente di proporre al pubblico vini per cui le parole genuino e artigianale finiscono per essere un paravento che occulta in realtà sciattezza e autoindulgenza.
Per la rubrica “sotto i dieci euri” che inauguro in questo momento voglio raccontare questo/a barbera riportato dal Mercato Fivi di Bologna. Barbera d’Asti “sopra berruti” 2012 de L’Armangia. Pagato 8 euro. Come i suoi fratelli maggiori Nizza Titon e Nizza Riserva Vignali è dimostrazione pratica della vocazione del territorio d’origine, delle potenzialità del vitigno e del fatto che alla famiglia Giovine vengono bene tutti i vini. Rossi, bianchi, mossi, fermi, etc, e per averne contezza consiglio all’enopellegrino che si trovasse davanti a un loro banco d’assaggio di fare uno stop. Barbera tradizionale fatta in acciaio e tini di rovere. Vino dal colore scuro, vivo, porta reminiscenze di frutti scuri, spezie, garofano, balsamiche. Al palato è un vino decisamente piacevole, anche divertente se il termine è accettabile, molto compatto, espansivo, con anima sapida e fresco, senza sbavature e senza eccessi alcolici. In finale si riverberano a lungo le note di frutto e di spezie. È sicuramente un “arrivederci”…
For the “under ten euros” column that I am launching at this moment, I want to talk about this barbera brought back from the Fivi Market in Bologna.
Barbera d’Asti “sopra berruti” 2012 by L’Armangia
Paid 8 euros. Like its older brothers Nizza Titon and Nizza Riserva Vignali it is a practical demonstration of the vocation of the territory of origin, of the potential of the vine and of the fact that all wines are good for the Giovine family. Reds, whites, moved, still, etc, and to be aware of this I advise any wine pilgrim who finds himself in front of one of their tasting stands to stop. Traditional Barbera made in steel and oak vats. Dark colored wine, lively, brings reminiscences of dark fruits, spices, cloves, balsamic. On the palate it is a decidedly pleasant wine, even fun if the term is acceptable, very compact, expansive, with a savory and fresh soul, without smudging and without alcoholic excesses. In the finish, the notes of fruit and spices reverberate for a long time. It’s definitely a “goodbye”…
La Marginale 2010 Saumur Champigny – Thierry Germain/Domaine des Roches Neuves
Le precedenti esperienze con la cantina di Thierry Germain avevano ingenerato delle aspettative. Che non sono andate deluse. Cabernet Franc & Loira (Saumur Champigny).
Cabernet Franc con lunga macerazione ed elevamento in barrique
Vino agile, setoso, profumato.
Chiaro, reminiscenze ben articolate di lamponi e fico d’india, mentolate, escono col tempo note di erbe officinali e di pepe sichuan.
Sorso delicato, fresco, piacevole e spiccatamente salino (che trovo essere una costante dei vini di Thierry Germain), equilibrio compiuto, il vino è risolto e ha tannini quasi in filigrana e un finale frutto/spezie piuttosto prolungato. Nel caso specifico di questa bottiglia un paio d’anni di anticipo avrebbero reso l’esperienza perfetta
Cabernet Franc e Loira si confermano una delle mie accoppiate preferite. A tavola ottimamente con Risotto al Colombaccio e Pluma di Maiale Iberico con insalata di finocchi e arance e patatas bravas.
Enonauta/Degustazione di Vino #385 – review – La Marginale 2010 Saumur Champigny – Thierry Germain/Domaine des Roches Neuves | Loira Franc
La Marginale 2010 Saumur Champigny – Thierry Germain/Domaine des Roches Neuves
Previous experiences with Thierry Germain’s cellar had raised expectations. Which didn’t disappoint. Cabernet Franc & Loire (Saumur Champigny).
Cabernet Franc with long maceration and aging in barrique
Agile, silky, fragrant wine.
Clear, well-articulated reminiscences of raspberries and prickly pear, minty, over time notes of medicinal herbs and Sichuan pepper emerge.
Delicate, fresh, pleasant and distinctly saline on the palate (which I find to be a constant in Thierry Germain’s wines), well-balanced, the wine is resolved and has almost filigree tannins and a rather prolonged fruit/spice finish. In the specific case of this bottle, a couple of years in advance would have made the experience perfect
Cabernet Franc and Loire confirm to be one of my favorite pairings. Excellent at the table with Risotto with Colombaccio and Iberian Pork Pluma with fennel and orange salad and patatas bravas.
Un vino che mi piace dal principio, dalla sua sobria etichetta che mi parla della rigorosa precisione che effettivamente poi trovo nel bicchiere. Al terzo giorno di apertura continua a stupirmi con la sua scintillante veste chiaro-traslucida e il suo incisivo ed onesto bouquet che potrei riassumere in 4 parole: viola, ciliegia, cannella e rabarbaro. Non il più complesso dei vini, ma colpisce l’accuratezza dei rimandi.
Dopo tre giorni mi aspetta con la sua delicata ed emozionante fruttosità che lo apparenta a vini ben più famosi. Sorso definito e sempre tonico, equlibrato, con tannini che mostrano forza senza spigoli. Finale piacevolmente dolce/amaro.
Può fare da ottimo jolly in fase di abbinamento in tavola. Consiglio a chi lo volesse stappare di tentare qualcosa di insolito.
Tra i 10 euri meglio spesi, spesi e rispesi peraltro, in vino.
Enonauta/Degustazione di Vino #384 – review – Grignolino del Monferrato Casalese 2021 – Oreste Buzio | Tra i 10 euri meglio spesi in vino
Grignolino del Monferrato Casalese 2021 – Oreste Buzio
A wine that I like from the beginning, from its sober label which tells me about the rigorous precision that I actually find in the glass. On the third day of opening it continues to amaze me with its sparkling light-translucent appearance and its incisive and honest bouquet which I could summarize in 4 words: violet, cherry, cinnamon and rhubarb. Not the most complex of wines, but the accuracy of the references is striking.
After three days it awaits me with its delicate and exciting fruitiness that compares it to much more famous wines. Defined and always tonic, balanced on the palate, with tannins that show strength without sharp edges. Pleasantly sweet/bitter finish.
It can act as an excellent joker when pairing at the table. I advise anyone who wants to uncork it to try something unusual.
Among the 10 euros best spent, spent and respent, on wine.
Non è una provocazione, tantomeno una descrizione con intento denigratorio, bensì un tentativo sincero di rendere per scritto, cosa peraltro non facile, l’esperienza con un vino appartenente a una categoria nella quale non mi capita quasi più di imbattermi. Questo l’ho trovato stappato a una tavola a cui ero stato invitato.
Sangiovese e Cabernet Sauvignon con affinamento in legno.
Colore rubino molto scuro, di primo acchito non diresti che è un Sangiovese, cosa che per un Sangiovese non è promettente, alla cieca lo avrei detto un pugliese di fascia bassa.
Naso con poca spinta, ci sono ricordi di frutti a bacca scura, cacao, legumi, chiodo di garofano ed erbacei. Al palato non mostra particolare vigoria. Acidità blanda, tannini non pervenuti, tocco morbido di scarsa durata, sembra un vino pensato principalmente per non infastidire nessuno e che termina senza lasciare nessuna suggestione. Espressività e fedeltà alla tipologia decisamente ai minimi.
In estrema sintesi lo potrei definire un vino inespressivo ed inoffensivo.
mercato fivi bologna | Il mercato FIVI è un evento affascinante e vitale che da 12 anni celebra il meglio dei vini artigianali e biologici dell’Italia. FIVI, acronimo di Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, riunisce produttori che pongono una grande enfasi sulla qualità, l’autenticità e la sostenibilità nella produzione del vino.
fivi market bologna | The FIVI market is a fascinating and vital event that has been celebrating the best of Italy’s artisanal and organic wines for 12 years. FIVI, an acronym for the Italian Federation of Independent Winemakers, brings together producers who place great emphasis on quality, authenticity and sustainability in wine production.
Questo mercato offre un’esperienza unica, dove gli appassionati di vino possono incontrare direttamente i produttori, assaggiare una vasta gamma di vini e scoprire le storie e le filosofie dietro ogni bottiglia. Bologna, con la sua ricca tradizione culinaria e il suo interesse per i prodotti artigianali di alta qualità, offre la cornice perfetta per un evento come il mercato FIVI.
This market offers a unique experience, where wine enthusiasts can meet the producers directly, taste a wide range of wines and discover the stories and philosophies behind each bottle. Bologna, with its rich culinary tradition and its interest in high-quality artisan products, offers the perfect setting for an event like the FIVI market.
Ed è buona la partenza per il mercato Fivi a Bologna dopo una vita passata a Piacenza. Spazi più grandi e carrelli più piccoli. Libertà di movimento e 8000 etichette in degustazione, l’edizione più partecipata di sempre, per gli appassionati delle bevute oceaniche. Clima festoso come al solito, disponibilità, nuove scoperte, qualità media dei vini presentati alta. Rivedibile l’area food. Prezzi eccessivi per proposte non trascendentali. La mia personale esperienza è fatta di un hamburger maremmano (sedicente) tiepido, con pane ghiacciato e guarnizione tipo kebab house a 12 euro. Incommentabile. Su questo consiglio di migliorare.
Per tutto il resto direi che chi ben comincia, anche alla 12esima edizione, è a un buon punto.
Il Sagrantino è tannico. Questo di Caprai non fa eccezione ed è tannico e criticarlo, come a volte capita, per il tannino non è certo proficuo. Sagrantino 100 percento, elevazione in barrique per 22 mesi e poi bottiglia.
Il colore è piuttosto scuro, quasi impenetrabile. Profumi principalmente di frutto a bacca scura, chiodo di garofano, ricordi mentolati e di tabacco. Di media intensità. Ha volume, corpo, acidità moderata e sviluppa una buona dinamica di gusto forte di un frutto ben concentrato che gli consente di essere un vino che non soccombe alla densità e alla forza dei tannini e a non essere semplicemente tannico, ed è tannico, e questo senza indulgere in dolcezza e soprattutto con una esemplare compattezza Da non bere all’aperitivo, ma già questo 2016 potrebbe completare una tavola dove c’è un Istrice in Umido o, dal momento che cucinare l’istrice è illegale, anche un più banale Cinghiale.
Sagrantino di Montefalco CollepianoSagrantino di Montefalco Collepiano
Sagrantino di Montefalco Collepiano 2016 – Arnaldo Caprai
Sagrantino is tannic. This one from Caprai is no exception and is tannic and criticizing it, as sometimes happens, for its tannin is certainly not profitable. 100 percent Sagrantino, fermented in barrique for 22 months and then bottled.
The color is rather dark, almost impenetrable. Aromas mainly of dark berry fruit, clove, mentholated notes and tobacco. Of medium intensity. It has volume, body, moderate acidity and develops a good dynamic of strong taste of a well concentrated fruit which allows it to be a wine that does not succumb to the density and strength of the tannins and not to be simply tannic, and it is tannic, and this without indulge in sweetness and above all with exemplary compactness Not to be drunk as an aperitif, but already this 2016 it could complete a table where there is a Stewed Porcupine or, since cooking porcupine is illegal, even a more banal Wild Boar.
Me l’avevavo consigliato più volte. Mi capita finalmente l’occasione di comprare due bottiglie dell’annata 2013, così da rispettare la regola personale dei 10 anni, e lo provo. “Cazzo! Che bel Vino!” penso subito al primo approccio e sento di essermi perso qualcosa in questi anni di bevute. Barbaresco di stampo tradizionale con lunga macerazione in cemento e invecchiamento in botte grande. Da Vigne le cui uve venivano un tempo conferite a un noto collega (si comprende bene il motivo). Vino di rare luminosità e intensità olfattiva, ripenso a quanto esclamò un amico annusando un famoso Sangiovese “sembra un profumo…” e non aggiungo altro. Ci sono reminiscenze nitide di Melograno, chinotto, rosa canina, floreale delicato, ma anche più defilati ricordi di erbe aromatiche e balsamici. Riconoscibile e molto fedele. Del melograno ha pure l’impatto tattile al palato. Sottile, pieno di energia, alcol giusto, porta in bocca questo frutto dolce, ultrapimpante e tonico che si accoppia meravigliosamente con l’abbondante acidità e i bei tannini profilanti. Sorso definito, lungo, arioso.
Che bel vino! (ripetere più volte…)
Barbaresco 2013 – Cascina Roccalini
I had recommended it several times. I finally have the opportunity to buy two bottles of the 2013 vintage, so as to respect the personal 10 year rule, and I try it. “Fuck! What a beautiful wine!” I immediately think of the first approach and feel like I’ve missed something in these years of drinking. Traditional Barbaresco with long maceration in cement and aging in large barrels. From Vigne whose grapes were once given to a well-known colleague (the reason is clear). A wine of rare brightness and olfactory intensity, I think back to what a friend exclaimed when smelling a famous Sangiovese “it looks like a perfume…” and I don’t add anything else. There are clear reminiscences of pomegranate, chinotto, dog rose, delicate floral, but also more secluded memories of aromatic herbs and balsamics. Recognizable and very loyal. It also has the tactile impact of pomegranate on the palate. Subtle, full of energy, right alcohol, it brings this sweet, ultra-perky and tonic fruit into the mouth which pairs wonderfully with the abundant acidity and the beautiful profiled tannins. Defined, long, airy sip.
“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico” cantava il poeta. Se sostituiamo al sole la nebbia, sembra proprio il succo di quel che si scopre esplorando i 17 banchi di assaggio di La rivoluzione a Montespertoli, giovane, piccola e (lo dico a posteriori) preziosa manifestazione a cui L’Enonauta si affaccia con curiosità in una silenziosa domenica novembrina, ovattata da quella sottile nebbiolina autunnale che non può che incentivare la voglia di colorare l’anima dal di dentro con qualche buon calice. Come se ce ne fosse bisogno…
La rivoluzione a Montespertoli
Lo slogan rivoluzionario è meno peregrino di quel che si possa maliziosamente pensare di fronte a una qualsiasi invenzione di marketing. Si respira davvero un’atmosfera lontana dal mainstream fieristico, e non solo per la dimensione e l’affluenza molto contenuta della mattina, ma anche nelle parole più sottolineate e, soprattutto, nei calici degustati. Quella di Montespertoli è una rivoluzione che guarda contemporaneamente ai due orizzonti, solo apparentemente opposti, del passato e del futuro, così come nell’Associazione dei Viticoltori di Montespertoli, promotrice dell’iniziativa, convivono le radici della tradizione vinicola artigianale del territorio e l’energia propulsiva, innovativa e contagiosa delle nuove generazioni che stanno guidando questa nuova stagione. L’Associazione stessa rinasce sulle ceneri di una precedente non fortunatissima esperienza.
Del resto la bipolarizzazione ci pare anche la caratteristica più tangibile dell’identità enologica del territorio di Montespertoli, che è il comune più vitato della Toscana e il maggior produttore di Chianti DOCG del mondo, ma soffre forse di un deficit di identità a causa delle divisione tra due sottozone che finora hanno faticato a integrarsi in una strategia comune: quella più consolidata del Chianti Colli Fiorentini DOCG e quella del Chianti Montespertoli DOCG.
Alla ricerca di un nuovo spazio di comunicabile riconoscibilità nel panorama affollato del vino toscano i 17 viticoltori associati e presenti in fiera stanno ora tracciando, e assai velocemente, una strada che da una parte sembra riportare alle proprie origini, alla valorizzazione dell’identità territoriale, alla naturalezza dei processi, al rapporto gioioso tra vino e convivialità, rifiutando di farsi condizionare dalle tendenze del ricco mercato internazionale che tanto ha influito sullo sviluppo della toscana enologica, e dall’altra aprono a uno spazio di creatività con tantissime escursioni fuori disciplinare che colpiscono per varietà e livello qualitativo in un range tanto contenuto di produttori e territorio. Il tutto sempre nel segno della freschezza e della piacevolezza ma senza eccessi di semplificazione, e con prezzi che restano mediamente in un range che non appesantisce i pensieri. Insomma, vini per gente a cui piace bere più che cincischiare, ma che il vino ce l’ha nel sangue e non si accontenta facilmente.
Via allora alla rivalutazione dell’uso della bacca bianca nel Chianti, in particolare con le interpretazioni del Castello di Sonnino, che realizza un Chianti Montespertoli in ammirevole equilibrio tra ricchezza e bevibilità, e quella di Valleprima che con malvasia e trebbiano va a a ingentilire una riserva, il suo Chianti Riserva DOCG Terre d’Argilla, di estrema freschezza.
E il trebbiano ha una sua bella parte in scena. Tra le interpretazioni del trebbiano in purezza da ricordare, anzi da bere, per la gustosa coesistenza di ricchezza di frutto e sapidità almeno l’autunnale Virginio di Sonnino, ma anche il più estivo Cantagrillo di La Leccia. Discorso a parte per Lupinella Bianca, il trebbiano di Lupinella, cantina che rimette nel circolo della propria produzione enologica l’antica arte familiare della lavorazione dell’argilla e dalla vinificazione in otri di terracotta estrae un vino di sorprendente espressività. Espressività che è il tratto comune dei vini della cantina, a partire dall’allegro e leggero entry level dei rossi, Il Lupinello da 1 litro (sangiovese, canaiolo e, anche qui, trebbiano), fino all’intenso, lungo e verticale Sangiovese IGT.
Lupinella, che sfoggia le etichette esteticamente più belle dell’interno novero dei presenti, condivide anche la palma di banco più sorprendente della giornata con quello della Fattoria Bonsalto: un progetto, quest’ultimo, partito appena nel 2020 (in passato il vino prodotto era destinato all’autoconsumo o ad altri imbottigliatori della zona) che già esprime una personalità stupefacente in ogni sorso,. Una batteria di cinque vini in degustazione, tutti ricavati da varietà di uva autoctone e tutti capaci di alimentare sorpresa, gioia e desiderio; cito per emblematicità il risultato raggiunto da Primo Marzo, elisir di uva boggione rosso maturato in anfora e che in bocca sviluppa una narrativa succosissima e originale.
Dentro il solco di una tradizione rassicurante per qualità ormai stratificata, stanno i vini della famiglia Gallerini cinque generazioni di viticoltori, che dal 1945 ha trovato stanza nella Tenuta Barbadoro, regno soprattutto del Sangiovese, proposto in diverse interpretazioni. All’iniziatore Serafino è dedicato un Chianti Docg da manuale, trionfante di frutti rossi, ai due fondatori della tenuta sono intitolati rispettivamente il robusto Chianti Montespertoli DOCG II° Guido e, unica concessione all’internazionalità, il denso ed elegante merlot Ottavino, prodotto in tremila bottiglie.
Varrebbe la pena sostare con qualche parola su ognuno di questi produttori di temperamento autentico. Mi limito a ricordare ancora un paio di bottiglie da stappare per testare la versatilità di questi territori: Dolico, l’estivo beverino viogner di Le Fonti a San Giorgio, e il Rosso IGT di Montalbino, praticamente un’antologia in vetro dei vitigni autoctoni, con Fogliatonda e Canaiolo a fare da protagonisti, Sangiovese e Colorino a spalleggiare.
Concludo per brevità ricordando due cantine che a mio parere si aggiudicano un riconoscimento che, in questi tempi di rincari spesso irragionevoli, si distinguono, in controtendenza, con una linea di prodotti di prezzo molto contenuto rispetto alla qualità espressa dalle loro bottiglie, e a noi viene da leggerlo come un gesto di amicizia e fratellanza per noialtri poveri innamorati del buon bicchiere in tavola tutti i giorni a pranzo e a cena, e a volte anche a merenda. Si tratta di Podere Guiducci, coi suoi rossi (come usa d’obbligo ormai dire almeno sette o otto volte al giorno, e io non l’ho ancora fatto) croccanti, e per le Fattorie Parri, dalla cui offerta spiccano il Chianti Montespertoli e, soprattutto, un gran vin santo che in un trionfo di frutta secca lascia spazio a sentori rinfrescanti e balsamici, pericolossimi per chi non si intimidisce di fronte alla possibilità di aprire e finire la bottiglia in pomeriggio; magari accanto a una fragrante crostata casalinga, anch’essa da seccare in un sol boccone, e alla fine leccare le briciole, sgrondando nel calice, felici, le ultime gocce della boccia.