Verdicchio. Fuori denominazione, per quanto ho letto pare sia l’ultima annata che verrà prodotta.
Affilato e Ossidato. In enoteca mi avevano avvertito. “È un vino spostato sulle ossidazioni…”. Avevano ragione. È un vino affilato e ossidato. Colore luminoso tendente al giallo scuro. Parco nel suscitare emozioni olfattive con ricordi di fieno secco, mela tagliata, erbe aromatiche, elicriso. Sembra a tutti gli effetti un vino ossidato.
Acidissimo. Una sciabola. Passato il primo momento è un vino molto bevibile che in fase retroattiva è più ricco di quanto non prometta al naso. Ma resta per me un vino monocorde. Dalle note ossidativo troppo pronunciate. Così tanto che mi viene un dubbio.
Spenderei altre 26 euro per un’altra bottiglia? Se il vino è proprio questo, e non una deriva contestuale, sinceramente no.
Dopo il Dodòn 2018 stappo anche il Bianco Sandrigo 2018 per approfondire la conoscenza dei vini del signor Denis Montanar da Borgo Dodone (UD).
Sempre uve Friulano/Tocai con breve macerazione e sosta sulle fecce. Solo acciaio.
Lo gradisco come l’altro, ma lo preferisco per un più manifesto equilibrio, per cui pur restando un vino molto diretto ne guadagna in precisione.
Colore intenso, sentori agrumati, meno exotic del Dodòn già stappato, di purea di albicocca, fiori di camomilla ed erbaceo fresco.
Freschezza, intensità di gusto, ma anche una certa precisione di tratto, sempre in relazione al Dodòn, per cui risulta più suadente e meno ostico sul finale.
Una coppia di bottiglie che invogliano a proseguire nell’approfondimento.
È un buon Verdicchio questo 2016 della Cantina Offida e dall’ottimo rapporto qualità prezzo.
Bel colore giallo paglierino, aromi di Mela granny smith a.k.a. mela verde, fiori bianchi, cedro candito, qualche cenno gessoso/petroso e di salvia.
L’acidità smagliante in ingresso, c’è sapidità, ma al palato, pur senza essere campione di profondità, non ci si ferma all’impatto tattile e si sviluppano buona persistenza e piacevolezza. Finale che rievoca le erbe aromatiche. Semplice, ma non scontato.
Trova conferma quanto scritto in etichetta sulle prospettive di invecchiamente e prevederei per questa bottiglia ancora un paio di anni sicuri di invecchiamento (se non fosse già vuota).
Il Riesling Vigna di Cancòr 2015 di Cantina Cembra è Riesling renano con 10 mesi sulle lisi e 7 mesi in bottiglia. Ed è un’altra piacevole conferma della Cantina Cembra. Giallo brillante tra il paglierino e il verdolino. Vivace al naso con sentori di mela granny smith (verde), nespola, cedro, tarassaco e pietra focaia.
Il frutto torna coerente in bocca e ha spessore e gusto, mette il liquido in condizione di tendere verso un equilibrio possibile, ma che non si raggiunge e l’anima di questo vino restano la freschezza, la sapida petrosità, una bella tensione.
Con la Scaloppina di Tacchino coi Funghi in abbinamento perfetto per il consumo quotidiano del bevitore di tutti i giorni.
Ebbi la ventura di assaggiare questo Costa di Giulia 2015 appena imbottigliato perché giunsi casualmente in azienda un pomeriggio in cui si stavano ultimando le operazioni di imbottigliamento. Ne ho seguito con piacere dunque, in questi pochi anni, l’evoluzione del gusto e credo di poter affermare che Costa di Giulia di Michele Satta è un vino che sviluppa personalità col tempo, che si conferma negli anni e che questa 2015 ha comunque una energia fuori del comune.
Vermentino e Sauvignon Lunga Fermentazione e affinamento sulle proprie fecce in acciaio.
Giallo paglierino intenso. Brillante e profumato. Esprime sulle prime note fruttate, di pesca bianca che si alternano a egualmente evidenti sentori vegetali, erbe aromatiche come il timo e l’erba appena tagliata, floreali, di miele e vaniglia. In bocca acidità soffice, dolce e duratura, ben equilibrata dal corpo e dalla succosità del sorso che risulta vellutato. Lo si potrebbe definire un vino suadente e finanche opulento che pur tuttavia non è stancante, come un oratore che oltre alla perizia abbia argomenti interessanti di cui si vorrebbe dibattere, per amore del discorso, all’infinito. Il finale è estremamente lungo con ritorno di frutta matura e miele di cardo. Allunga in progressione, senza scatti brucianti o velleitari.
Non stanca sul momento e negli anni dimostrando una disposizione alla maturazione già testata con altre annate. Motivo per cui si ritorna sempre a Castagneto, tra le colline e i cipressi cari al Carducci, da che cura il ricevimento e le degustazioni, a comprare il Costa di Giulia e gli altri vini che Michele Satta produce con esito qualitativo costante e sempre a prezzi terrestri.
Giovano a questo vino, a mio avviso, un paio di anni in bottiglia almeno e una temperatura di servizio un paio di gradi più alta di quanto solitamente si usa per i vini bianchi.
Ottimo in abbinamento col polpettone di fagiolini, ma azzarderei perfetto con lo spaghetto con patate lesse, olio evo e basilico fresco.
Vigna delle Forche – Cembra – Trentino Doc Acciaio e affinamento sulle lisi
Muller Thurgau da una vigna situata a 872 metri di altezza slm in Val di Cembra. Giallo con lampi smeraldini. Brillante come pochi.
Intenso ed espressivo il bouquet composto da sentori di frutta fresca come la pesca selvatica, di anemone bianco, note di zenzero, erba sfalciata ed erbe aromatiche su un fondo sapido/petroso.
Vino estremamente fresco/salino, di grande e originale personalità, tonico e mai monocorde, sviluppa una lunga persistenza in cui riemergono ricordi di frutto ed erbe fresche. Ottima versatilità in compagnia dei cibi.
L’Etna Bianco di Planeta è buono, ma senza entusiasmo…
Carricante parzialmente fermentato in barrique e con sosta sulle proprie fecce.
Giallo paglierino scuro
Buona intensità e nitore nei sentori floreali di fiori bianchi come il gelsomino e di pesca, note petroso/minerali, di lime ed erbacee.
In corrispondenza col naso il sorso è freschissimo e con spiccata sapidità, forse il corpo troppo sottile e con poca polpa/sapore, ma con piacevole finale con retrogusto di salvia.
È un piacere berlo ed è un piacere raccontarlo. È il Bianco della Castellada. Vendemmia 2011. A Oslavia dove ci sono la Ponca e il vento.
Pinot grigio 50%, Chardonnay 30% e Sauvignon 20%. Per lo chardonnay e il sauvignon quattro giorni di macerazione. 12 mesi di barrique e 24 mesi ulteriori in bottiglia.
Giallo dorato e consistente. Sprigiona una lunga sequenza di aromi come l’uva sultanina e la pesca percoca matura, sentori erbaceo/vegetali e floreali come il Tiglio in fiore e la camomilla, la nocciola e accenni di spezie e di resina come se accanto a te stessero potando un albero. Notevole. Ma è all’assaggio che dimostra tutta la sua stoffa e le sue potenzialità attuali e presumibilmente in divenire. Ha spessore, succo e forza. Le sensazioni si stratificano. Didatticamente lo si potrebbe usare per spiegare empiricamente il significato di “vino tridimensionale”. Frutto maturo, miele, ritorni aromatici nel centrobocca. La freschezza e una percepibile struttura tannica gli danno una profondità eccezionale e il suo è un grandissimo finale che vorresti rallentare per prolungare indefinitamente l’esperienza gustativa, come vorresti che la bottiglia fosse di nuovo piena, almeno a metà, anche un terzo basterebbe.
Mi sono impegnato per accompagnarlo degnamente in cucina e allora sono venuti fuori il pollo in padella coi germogli di soia e la gallinella al cartoccio cotta a vapore con cipolla fresca di Certaldo. Bene col pesce, benissimo col pollo.
In un gemellaggio enoalimentare tosco-giuliano, la Malvasia 2016 di Nicolini trova posto sulla mia tavola accanto a una delle più immutabili, e impermeabili alle “reinterpretazioni” moderne, tra le pietanze della tradizione toscana. La cecìna, o farinata per qualcuno. Cecìna con Crescenza e Torta di Spinaci. Malvasia vinificata tradizionalmente, pochi interventi, acciaio e vetro per l’affinamento. Un pregiudizio, non necessariamente infondato, sulla zona di provenienza (Carso – Muggia) mi spinge ad aspettarmi un vino verticale e scabro. E invece. Giallo dorato. Vagamente opalescente.
Complesso il ventaglio odoroso. Pesca gialla, giuggiola matura, fiori di tiglio, resina di cipresso, erbe aromatiche. Caldo e spesso in ingresso, poi l’elemento acido ben si assesta dentro il sorso succoso e gli conferisce equilibrio e profondità. Sul finale si fa rinfrescante, con piacevole retrogusto di menta selvatica..
La sottozona del Chianti denominata Rùfina, posizionata a nordest di Firenze, è famosa per la longevità dei suoi rossi, ma dà i natali anche questo bianco fatto “come una volta”. Ovvero il Canestrino di Cerreto Libri
Trebbiano e Malvasia (90 e 10) coltivate seguendo il metodo di vinificazione stabilito dalla carta qualità dell’associazione “Renaissance des Appellations“, macerazione sulle bucce di 24/36 ore e lungo affinamento sulle fecce. Cemento.
Non proprio un orange, più un bianco fatto come un tempo.
Il suo colore è quello dell’Ambra lucida. Denso. Profumi misurati non esplosivi, inizialmente miele di trifoglio, poi sentori fruttati di nespola, albicocca disidratata, floreali di narciso.
Rispetto ad altre annate porta in dote un’acidità più contenuta e flessuosa e una componente tannica sottile, risultando al palato più morbido e corposo. Un buon finale con retrogusto di salvia e una sorprendente resistenza nel bicchiere. L’ultimo, abbandonato sulla tavola, il giorno seguente porge al naso ancora note piacevoli ed è integro al sorso.