Dopo aver incontrato questa bottiglia alcune volte, da solo e in compagnia, avendo osservato le reazioni che ha provocato nei bevitori più disparati e in me stesso, posso dire che si tratta di un vino che emoziona e sorprende.
Da Sagrado di Sgonico nel Carso. Vitovska e Malvasia in parti uguali. Macerazione per 28 giorni e passaggio in barrique di 2 anni. Colore giallo intenso, appena opalescente, un orange/non orange che a mio avviso nel panorama locale e tra gli omologhi trova una sua collocazione particolare per la forza espressiva e il controllo di certi elementi che talvolta nei suddetti finiscono un po’ bradi. Bouquet ampio e penetrante con profumi di nespola, camomilla, zenzero, a lato note tostate e di resina di cipresso. Proverbiali la vitalità del sorso, la sua profondità e la sua forza di gusto. Questo equilibrio che sembra sempre sul punto di crollare e che invece non crolla e che finisce per donare tensione e divertimento. Proverbiale anche il rapporto qualità prezzo.
Già ne parlammo qui: https://www.enonauta.it/2021/04/26/memorie-da-un-aperitivo-ricco/
Bezga Lune 2015 – Milič Igt Venezia Giulia
After having encountered this bottle a few times, alone and in company, having observed the reactions it has provoked in the most disparate drinkers and in myself, I can say that it is a wine that excites and surprises.
From Sagrado di Sgonico in the Carso. Vitovska and Malvasia in equal parts. Maceration for 28 days and passage in barrique for 2 years. Intense yellow colour, slightly opalescent, an orange/non-orange which in my opinion finds its particular place in the local panorama and among its counterparts due to the expressive strength and control of certain elements which sometimes end up a little sparse in the aforementioned ones. Large and penetrating bouquet with aromas of medlar, chamomile, ginger, alongside toasted notes and cypress resin. The vitality of the sip, its depth and its strength of taste are proverbial. This balance that always seems on the verge of collapsing and which instead doesn’t collapse and which ends up giving tension and fun. The value for money is also proverbial.
We already talked about it here: https://www.enonauta.it/2021/04/26/memorie-da-un-aperitivo-ricco/
Caparsino Chianti Classico Riserva da Radda in Chianti. Ovvero il grande bere toscano tradizionale. Sangiovese 100 percento, vinificato in cemento e maturato in botte grande di rovere. Vino che è figlio dell’ingegno enoico di due dei più talentuosi vignaioli (ed enologi) toscani: Paolo Cianferoni e Federico Staderini. Il primo a guida di una azienda che si può tranquillamente definire un faro. Il secondo enologo di chiara fama e adesso a capo di Cuna, pioniere del Pinot Nero Casentinese.
Se ciò che viene chiamato Souplesse esiste è dentro questa bottiglia dove coesistono definizione, concentrazione, vitalità e una eccezionale trama.
Vivo colore tra il rubino e il granato scuro, profumi di marasca, scorza d’arancia, finemente speziato, ricordo di tabacco dolce e confettura di more, appena ematico, balsamico.
Equilibrio e precisione, fruttuosità avvincente, tannino che, trovata la via verso un nobile ammorbidimento, profila e rinfresca, il sorso si espande, gratifica, dura. Tra le migliori bevute di sempre.
Con lo Spezzatino in umido (senza pomodoro) in abbinamento ottimo.
Caparsino 2010 Chianti Classico Riserva – Caparsa
Caparsino Chianti Classico Riserva from Radda in Chianti. That is, the great traditional Tuscan drink. 100 percent Sangiovese, vinified in cement and matured in large oak barrels. A wine that is the result of the oenological genius of two of the most talented Tuscan winemakers (and oenologists): Paolo Cianferoni and Federico Staderini. The first to lead a company that can easily be defined as a beacon. The second well-known winemaker and now head of Cuna, pioneer of Casentino Pinot Noir.
If what is called Souplesse exists, it is inside this bottle where definition, concentration, vitality and an exceptional texture coexist.
Vivid color between ruby and dark garnet, aromas of morello cherry, orange peel, finely spiced, hints of sweet tobacco and blackberry jam, slightly bloody, balsamic.
Balance and precision, compelling fruitiness, tannin which, having found its way towards a noble softening, outlines and refreshes, the sip expands, gratifies, lasts. Among the best drinks ever.
Il Cinque di Le Boncie (spesso chiamato Podere Le Boncie), è il vino di entrata dell’azienda di Giovanna Morganti. Cinque, come i vitigni che compongono questo vino (Sangiovese in gran prevalenza, poi Ciliegiolo, Mammolo, Fogliatonda e Colorino). Se Elisabetta Foradori è considerata la signora del Teroldego, Giovanna Morganti può essere considerata, senza esagerare, la signora del Chianti, inteso come territorio e non come referenza DOCG. La sua rinuncia (per il suo vino di punta il “Le Trame”) alla DOCG a favore dell’IGT venne da tutti additata come follia, eresia. Fu in parte gesto di protesta per la bocciatura di un suo vino da parte della commissione del Chianti Classico. Ma anche un atto di libertà ai fini di poter continuare a lavorare in totale autonomia espressiva, producendo vini che rappresentassero il territorio e la proria idea di viticoltura, senza necessariamente preoccuparsi di ogni singolo aspetto di rigido disciplinare.
La sua azienda, di circa quattro ettari, è interamente condotta in regime biologico-biodinamico e la vinificazione è assolutamente di carattere non interventista, artigianale-naturale. I terreni sono di limo e argilla (con alta concentrazione di calcare). Vigneti ad alberello, alta densità, vinificazione tradizionale con fermentazioni spontanee con lieviti indigeni svolte in piccoli tini aperti, senza controllo delle temperature e con macerazioni non eccessivamente lunghe.
Il Cinque appare in tutta la sua energia già dal colore rosso rubino veramente brillante, luminoso e traslucente. Sentori di piccoli frutti rossi, ciliegia, mammola, scorza di arancia e qualche leggera speziatura dolce al naso. Al palato è secco, morbido, caldo e con tannini arrotondati. La Buona acidità, e la discreta mineralità, unite ad una buona gestione dell’alcool, ne fanno un vino dal sorso equilibrato, teso, dinamico e vitale. Forse non possiede una precisione chirurgica, ma regala espressività, coerenza organica, buona finezza ed un grande servizio al pasto.
Questo vino di Le Boncie, almeno in questo assaggio ed in questa annata, è un eccellente esempio di come si possa lavorare in maniera veramente naturale (per usare un termine speso abusato, tal volta anche in maniera impropria), senza perdere di vista il territorio, il vitigno, ma sopratutto il cliente-consumatore il quale non necessariamente deve essere ammaliato dall’aura mitica di un produttore, finendo in ultimo di perdere di vista il calice e quel che lo riempie.
Il rapporto qualità-prezzo-soddisfazione a mio avviso è molto alto e rimarrà certamente tra quei vini che mi ripropongo di bere nuovamente.
Thierry Germain è un vignaiolo che ha la sua azienda (Domaine des Roches Neuves) a Varrains, vicino Saumur, uno dei luoghi più vocati di tutta la denominazione di Saumur-Champigny, dove nascono alcuni dei migliori vini della Loira. Vignaiolo entusiasta, rispettoso, grande interprete e promotore del territorio con le sue innumerevoli vinificazioni parcellari.
Chenin Blanc 100 percento da vecchie viti. Agricoltura Biodinamica. Affinamento sulle fecce per 9 mesi.
Vino chiaro, quasi diafano, profumatissimo e fresco. Porge aromi di fiori di campo, lemongrass e mela, petroso, appena erbaceo, sorso fresco, freschissimo, verticale, acidità fluente e sapidità in rilievo fiancheggiate da una buona materia. Persistente, finale coerentemente agrumato. La poca dimestichezza col vitigno, lo avrò incontrato nella vita tre/quattro volte, non mi consente di fare un confronto adeguato con altri rappresentanti della tipologia e della regione d’origine, ma l’ignoranza consapevole è il miglior viatico verso approfondimenti e sorprese piacevoli. Il giudizio sul vignaiolo autore di questo vino, Thierry Germain, dopo aver bevuto questo e altri suoi vini è però più che positivo.
Thierry Germain is a winemaker who has his company (Domaine des Roches Neuves) in Varrains, near Saumur, one of the most suitable places in the entire Saumur-Champigny appellation, where some of the best Loire wines are born. Enthusiastic, respectful winemaker, great interpreter and promoter of the territory with its countless parcel vinifications.
Chenin Blanc 100 percent from old vines. Biodynamic agriculture. Aging on the lees for 9 months.
Clear wine, almost diaphanous, very fragrant and fresh. It offers aromas of wild flowers, lemongrass and apple, stony, slightly herbaceous, fresh, very fresh, vertical sip, flowing acidity and prominent flavor flanked by good material. Persistent, consistently citrusy finish. The lack of familiarity with the vine, I will have encountered it three/four times in my life, does not allow me to make an adequate comparison with other representatives of the type and region of origin, but conscious ignorance is the best viaticum towards insights and pleasant surprises . However, the opinion on the winemaker who created this wine, Thierry Germain, after drinking this and his other wines is more than positive.
Domaine Faiveley è una delle più grandi ed importante aziende in Borgogna. Nonostante questa sua estensione territoriale e produttiva il suo lavoro rimane improntato sul mantenimento di un elevata qualità, potendo contare anche sul 75% delle vigne in regime biologico. Questo Village di Gevrey-Chambertin 2018 da vecchie vigne (viti comprese tra i 50 e gli 80 anni) cresce su suolo marno-argilloso con elevata presenza di ferro. Follature giornaliere, sulle fecce per 19 giorni, poi 14 mesi in botte di rovere francese con tostatura moderata. In fine due mesi di ulteriore maturazione in vasca.
Colore rosso rubino profondo, penetrabile. Al naso appare didattico, pulito, non troppo inteso ma persistente. Frutta rossa di rovo, amarena, poi un bel floralee scuro dove spicca una netta rosa rossa e una leggera violetta. In chiusura sottobosco con funghi e terriccio.
Al palato è secco, piuttosto morbido, di buon corpo (non troppo per essere un Gevrey C.), con una freschezza presente ma non slanciata ed una discreta mineralità che va a chiudere. Il sorso è coerente, gratificante e ben bilanciato, caldo ma non troppo.
Ho apprezzato questo vino maggiormente il giorno seguente all’apertura, quando l’ho trovato più disteso ed espressivo. Ovviamente è un buon vino, anzi direi ottimo, ma avendo bevuto qualche borgogna negli ultimi anni, non lo posizionerei in un ipotetica “top ten”. È molto equilibrato, gradevole, accompagna bene il pasto ed è assolutamente ben fatto. È un vino che manca però, secondo me, di un poco di poesia. Non emoziona e non stupisce nemmeno per qualche difetto. Il nome è un blasone e forse questo lo penalizza un pò a livello psicologico, poiché pur essendo un village (comunque da vecchie vigne) mi sarei aspettato uno scatto in più. Almeno un allungo che mi facesse ricordare di lui. Anche perché al suo prezzo di vini pronti a raccontarci qualcosa, provare a stupirci e farci ricordare di loro nel tempo, se ne trovano (se si è bravi anche molti). Forse non a Gevrey Chambertin.
Domaine Faiveley is one of the largest and most important estates in Burgundy. Despite this territorial and productive extension, his work remains based on maintaining high quality, also being able to count on 75% of the vineyards being organic. This Gevrey-Chambertin 2018 Village from old vineyards (vines between 50 and 80 years old) grows on marl-clayey soil with a high presence of iron. Daily pressing, on the lees for 19 days, then 14 months in French oak barrels with moderate toasting. Finally two months of further maturation in the tank.
Deep ruby red color, penetrable. On the nose it appears didactic, clean, not too intense but persistent. Red blackberry fruit, black cherry, then a beautiful dark floral where a clear red rose and a light violet stand out. Finally, undergrowth with mushrooms and soil.
On the palate it is dry, rather soft, full-bodied (not too much to be a Gevrey C.), with a freshness that is present but not slender and a discreet minerality that finishes. The sip is coherent, rewarding and well balanced, warm but not too much.
I appreciated this wine more the day after opening, when I found it more relaxed and expressive. Obviously it is a good wine, indeed I would say excellent, but having drunk some Burgundy in recent years, I would not place it in a hypothetical “top ten”. It is very balanced, pleasant, accompanies the meal well and is absolutely well made. However, in my opinion, it is a wine that lacks a little poetry. It doesn’t excite and doesn’t surprise even with some flaws. The name is a blazon and perhaps this penalizes it a bit on a psychological level, since despite being a village (in any case from old vineyards) I would have expected an extra shot. At least one extension that would make me remember him. Also because at its price you can find wines ready to tell us something, try to amaze us and make us remember them over time (if you are good, even many). Maybe not to Gevrey Chambertin.
Degustazione di Nebbioli in Batteria. Al primo rèfolo d’aria fresca s’innesca subito la sete di rossi e ritorna alla mente quel lotto di nebbioli comprati in gruppo alcuni mesi prima e per il cui assaggio era attesa da tempo la fine della gran calura. Ci si ritrova dunque nella tana de “Il Mosto Selvaggio” per approfondire le potenzialità di questo nobile vitigno, qui nella sua interpretazione base, in alcune sue diverse declinazioni. Raccontare 10 vini a memoria seguendo gli scarni appunti vergati in una serata che ha finito per configurarsi più ricreativa che formativa, nel senso puro del termine, non è facile. Ho deciso quindi di tracciare una descrizione di quelli che mi hanno maggiormente colpito.
Cemento e legno grande per un Nebbiolo che brilla per la nettezza dei profumi floreali, di melograno e ribes rosso, di genziana, per la scorrevolezza del sorso, l’equilibrio e la tensione, la coda sapida e la persistenza. Sembra di scorgere in controluce dentro questo vino un progetto che ha trovato una compiutezza esatta. Vino pronto e convincente.
VERSIO / neive 18
Acciaio, legno grande e di nuovo cemento. Colore quasi di un rosato, sottile, profumo di fragolina, cinnamomo, rosa, luminoso, apparentemente esile e trasparente, ma animato da chiara forza, espressività, definito un vino “risolto”. Piaciuto a tutta la tavola, in effetti stupiva per la serbevolezza e per il fatto di mostrare una memoria viva del frutto da cui provenne. Tutti i commensali hanno dichiarato di poterne bere una bottiglia da soli in venti minuti.
Langhe Nebbiolo 2019 RIVELLA / barbaresco
Lunga macerazione e affinamento in tonneaux per questo nebbiolo di uno dei prìncipi del classicismo piemontese. La gioventù lo penalizza perché risulta un po’ austero e allora ci si proietta in avanti col pensiero a tra qualche anno. Però c’è la consueta eleganza di Rivella, sentori di ribes rosso, scorza d’arancio, mazzo d’erbe aromatiche/bitter, il sorso è teso, fresco, di buon corpo, il tannino è ruggente. Ripensare alla gentilezza della famiglia Rivella aumenta l’apprezzamento per il vino.
Langhe Nebbiolo Bartolo Mascarello 2018 / barolo
Cemento e botti grandi per nove mesi. Archetipico e quasi perfetto. Gli ho preferito il Nebbiolo di Sandri in virtù di una più viva dinamica di gusto, ma questo Nebbiolo è eccezionale. Colore rubino vivo, viola, finissima Speziatura, piccoli frutti rossi, erbe mediche, il sorso è lungo, fresco, col giusto spessore e con un tannino rinfrescante che invoglia alla beva.
Langhe Nebbiolo 2018 Canonica / Barolo
Vino di grande personalità, solo cemento, colore rubino di media intensità, frutti scuri, balsamico, radice, suggestioni fungine (percezione non condivisa), al palato si presenta denso, con grande intensità di gusto, cala anche la carta di un buon equilibrio che in altre annate non avevo riscontrato, persistenza non comune. C’è chi lo ha subito apposto come trofeo in postazione al lavoro.
The first breath of fresh air immediately triggers the thirst for reds and brings to mind that batch of Nebbiolos bought in a group a few months earlier and whose tasting was long overdue until the end of the great heat. We therefore find ourselves in the den of “Il Mosto Selvaggio” to delve deeper into the potential of this noble vine, here in its basic interpretation, in some of its different declinations. Telling 10 wines from memory following the scant notes written in an evening that ended up being more recreational than educational, in the pure sense of the term, is not easy. I therefore decided to outline a description of those that struck me most.
Cement and large wood for a Nebbiolo that shines for the clarity of the floral aromas, of pomegranate and red currant, of gentian, for the smoothness of the sip, the balance and tension, the savory aftertaste and persistence. It seems to see against the light inside this wine a project that has found exact completion. Ready and convincing wine.
VERSIO / neive 18
Steel, large wood and concrete again. Almost rosé colour, subtle, scent of strawberry, cinnamon, pink, bright, apparently thin and transparent, but animated by clear strength, expressiveness, defined as a “resolved” wine. The whole table liked it, and in fact it was surprising for its shelf life and for the fact that it showed a living memory of the fruit from which it came. All the guests declared that they could drink a bottle alone in twenty minutes.
Langhe Nebbiolo 2019 RIVELLA / barbaresco
Long maceration and refinement in tonneaux for this Nebbiolo from one of the princes of Piedmontese classicism. Youth penalizes it because it appears a bit austere and so we project ourselves forward with the thought of a few years from now. But there is the usual elegance of Rivella, hints of red currant, orange peel, bunch of aromatic herbs/bitters, the sip is tense, fresh, full-bodied, the tannin is roaring. Thinking back to the kindness of the Rivella family increases your appreciation for wine.
Langhe Nebbiolo Bartolo Mascarello 2018 / barolo
Cement and large barrels for nine months. Archetypal and almost perfect. I preferred Sandri’s Nebbiolo to it due to its livelier flavor dynamics, but this Nebbiolo is exceptional. Bright ruby colour, purple, very fine spiciness, small red fruits, medicinal herbs, the sip is long, fresh, with the right thickness and with a refreshing tannin that invites you to drink.
Langhe Nebbiolo 2018 Canonica / Barolo
Wine with great personality, only cement, ruby color of medium intensity, dark fruits, balsamic, root, fungal suggestions (perception not shared), on the palate it is dense, with great intensity of taste, it also shows a good balance which in other years I had not found uncommon persistence. There are those who immediately placed it as a trophy on their workstation.
Il Quintessenz 2018 di Kellerei Kaltern è un Pinot bianco con fermentazione spontanea in legno da 500 lt e in botte grande e maturazione sulle fecce sempre in legno per 10 mesi. Dalla zona del Lago di Caldaro.
Il colore giallo che vira al verdolino, vitale e diretto al naso con sentori di ginestra, camomilla, mela, lime, appena accennati con l’alzarsi della temperatura del vino, ricordi di cedro candito ed erbacei. Al palato è secco e fresco, di buona persistenza con finale coerente centrato su frutto/agrume caratterizzato da una certa finezza e precisione di tratto. Mi sarei aspettato più forza espressiva, più suadente spessore, ma se segui l’abbaglio delle aspettative puoi pensare e interpretare male. Le note sulla vinificazione mi avevano fatto pensare a vino più materico e suadente, ma come ebbe a dire un vero maestro “se in un vino cerchi ciò che non c’è puoi star sicuro che non ce lo trovi…”. Aspettative a parte è un vino piacevole e definito che mi pare abbia il suo punto forte nella compostezza e nella precisione. A tavola non bene con il sushi, meglio con gli gnocchi al sugo di noci.
Quintessenz Pinot Bianco 2018 – Kellerei Kaltern
The Quintessenz 2018 by Kellerei Kaltern is a Pinot bianco with spontaneous fermentation in 500 lt wood and in large barrels and maturation on the lees, always in wood for 10 months.
The yellow color that turns greenish, vital and direct on the nose with hints of broom, chamomile, apple, lime, barely hinted at as the temperature of the wine rises, memories of candied citron and herbaceous. On the palate it is dry and fresh, with good persistence with a coherent finish centered on fruit/citrus fruit characterized by a certain finesse and precision of line. I would have expected more expressive strength, more persuasive depth, but if you follow the delusion of expectations you can think and interpret badly. The notes on winemaking had made me think of a more tactile and persuasive wine, but as a true master said “if you look for what isn’t there in a wine you can be sure you won’t find it there…”. Expectations aside, it is a pleasant and defined wine which seems to me to have its strong point in composure and precision. At the table, not good with sushi, better with gnocchi with walnut sauce.
Emmanuel Giboulot – Les Pierres Blanc 2017 – Cote de Beaune Aoc
Emmanuel Giboulot ha grandi mani ruvide da lavoratore, con le quali stringe forte le tue (all’epoca si stringevano ancora le mani) quando ti accoglie nella sua cantina a Beaune. Niente reception, sala da degustazione o personale per le visite guidate. Lui ti riceve, ti fa scendere in cantina, ti serve e beve con te gli assaggi dei suoi vini (che sono mezzi calici), ed alla fine ti prepara la cassa con i vini da portare via (perché è sicuro ne porterai via almeno una cassa).
Giboulot è noto soprattutto per essere un pioniere della viticoltura biologica e biodinamica in Borgogna (fa anche parte dell’associazione Renaissance des Appellation/Return to Terroir fondata nel 2001 dall’iconico vigneron Nicolas Joly). Anche la sua vinificazione è assolutamente di impronta non interventista, rientrando a pieno nello spettro dell’artigianalità/naturalità. Molti lo conoscono anche a causa delle accuse nel 2014, decadute dopo il ricorso, che gli sono state rivolte per aver rifiutato un ordine del governo di utilizzare pesticidi.
Ho visitato la cantina di questo impressionante uomo e vignaiolo nell’aprile del 2019, durante una viaggio in Borgogna. La foto delle bottiglie per gli assaggi fornisce un minimo esempio della dimensione “spartana”, in presa diretta dell’assaggio. L’ambiente rispecchia a pieno la personalità di Giboulot e del suo lavoro: essenziale, senza sovrastrutture, schietto e diretto. Anche i suoi vini hanno queste caratteristiche, alle quali bisogna aggiungere però una dose irrinunciabile di profonda eleganza.
Les Pierres Blanc 2017 è uno Chardonnay al 100% su terreno vulcanico di argille bianche e viti di 40 anni e fa parte della piccola e piuttosto rara appellazione Côte de Beaune (da non confondere con Côte de Beaune Village). Giallo paglierino chiaro con leggeri riflessi verdolini, al naso è molto sottile e delicato, con netta prevalenza di agrumi (limone e lime su tutti), fiori bianchi ed erbe selvatiche appena accennati. In bocca ha un attacco secco e dritto come pochi, una mineralità infinita (sembra proprio che nel calice ci siano dei sassi bianchi), buona persistenza e profondità. Il sorso continua tesissimo, con una bellissima acidità sferzante e una sapidità persistente (che manterranno vivo questo vino ancora per molto tempo), svuotando il calice in maniera prematura. Ha un corpo forse lievemente esile e non possiede una enorme complessità aromatica; alla cieca potrebbe facilmente essere scambiato con uno Chardonnay che non abbia visto legno. Ma questo è lo stile del Domaine, tutto incentrato sulla verticalità, la croccantezza del frutto, la tensione dinamica del sorso e la digeribilità dei vini.
Apprezzo molto i vini di Giboulot, il suo lavoro, la sua posizione intransigente e partigiana. Senza dubbio questo è il suo vino che preferisco e che a mio avviso maggiormente lo rappresenta. Se amate gli Chardonnay (anche di Borgogna) molto espressivi, potenti, profumatissimi, magari con note burrose e boisè, lasciate a scaffale Les Pierres Blanc (se lo trovate), non fa proprio per voi. Se invece amate e non solamente apprezzate (visto il prezzo non propriamente economico per un lieu-dit) questa tipologia di vini allora è un vino da bere assolutamente.
Emmanuel Giboulot – Les Pierres Blanc 2017 – Cote de Beaune Aoc
Emmanuel Giboulot – Les Pierres Blanc 2017 – Cote de Beaune Aoc
Emmanuel Giboulot has large, rough worker’s hands, with which he shakes yours tightly (they still shook hands at the time) when he welcomes you into his cellar in Beaune. No reception, tasting room or tour staff. He receives you, takes you down to the cellar, serves you and drinks samples of his wines with you (which are half glasses), and at the end he prepares the case with the wines to take away (because he is sure you will take away at least one earnings).
Giboulot is best known for being a pioneer of organic and biodynamic viticulture in Burgundy (he is also part of the Renaissance des Appellation/Return to Terroir association founded in 2001 by the iconic vigneron Nicolas Joly). Its winemaking is also absolutely non-interventionist, fully falling within the spectrum of craftsmanship/naturalness. Many also know him because of the charges against him in 2014, which were dropped after an appeal, for refusing a government order to use pesticides.
I visited the cellar of this impressive man and winemaker in April 2019, during a trip to Burgundy. The photo of the tasting bottles provides a minimal example of the “spartan” dimension, directly from the tasting. The environment fully reflects the personality of Giboulot and his work: essential, without superstructures, frank and direct. Its wines also have these characteristics, to which we must however add an indispensable dose of profound elegance.
Les Pierres Blanc 2017 is a 100% Chardonnay on volcanic soil of white clay and 40-year-old vines and is part of the small and rather rare appellation Côte de Beaune (not to be confused with Côte de Beaune Village). Light straw yellow with light greenish reflections, the nose is very subtle and delicate, with a clear prevalence of citrus fruits (lemon and lime above all), white flowers and barely noticeable wild herbs. In the mouth it has a dry and straight attack like few others, an infinite minerality (it really seems as if there are white stones in the glass), good persistence and depth. The sip continues very tense, with a beautiful lashing acidity and a persistent flavor (which will keep this wine alive for a long time to come), emptying the glass prematurely. It has a perhaps slightly thin body and does not possess enormous aromatic complexity; in the blind it could easily be mistaken for a Chardonnay that has seen no wood. But this is the style of the Domaine, all focused on verticality, the crunchiness of the fruit, the dynamic tension of the sip and the digestibility of the wines.
I really appreciate Giboulot’s wines, his work, his uncompromising and partisan position. Without a doubt this is my favorite wine of his and which in my opinion best represents him. If you love very expressive, powerful, very fragrant Chardonnays (including Burgundy ones), perhaps with buttery and woody notes, leave Les Pierres Blanc on the shelf (if you can find it), it’s not really for you. If, however, you love and not just appreciate (given the not exactly cheap price for a lieu-dit) this type of wine then it is a wine to absolutely drink.
Tignanello 2016 – Antinori – Degustazione Grandi Vini
Cepparello 2013 – Isole e Olena – La cinquina memorabile
Il Pareto 1996 – Tenuta di Nozzole/Folonari – Degustazione Grandi Vini
Turriga 1997 – Argiolas
Brunello di Montalcino Ris. 1985 Madonna del Piano – Valdicava
La scorsa sera ho avuto la fortuna di poter degustare con una giusta, ottima e competente compagnia di bevitori una cinquina di bottiglie che tutte insieme difficilmente si riescono a radunare sullo stesso tavolo. Degustazione di Grandi Vini, una cinquina memorabile. E abbiamo avuto la fortuna rara di trovare bottiglie d’annata ben conservate, ancora vivo il ricordo della magnum di Capodistato 2008 bevuta pochi mesi fa e che era invece andata, che hanno espresso valori apprezzabili.
A memoria, aiutato dai valenti Riccardo Viganò e Martino Baldi, provo a raccontare i cinque vini della serata.
Tignanello 2016 – Antinori
Una conferma. Tonica e brillante giovinezza che lascia intravedere un bel futuro, vino poco piacione e poco pavone, non quel campione da esposizione che molti si aspetterebbero, piace come ogni volta per il rigore espressivo, la tensione, la pienezza del sorso, la vitalità, i profumi netti, vivi.
Cepparello 2013 – Isole e Olena
Stenta assai all’apertura, appare contratto, poco dinamico, ridotto, ma piazza un allungo entusiasmante tutto freschezza ed energia, persistenza, lavanda, ribes rosso e scorza d’agrume che lascia di stucco i commensali che vanno a cercare l’ultimo sorso senza più trovarlo. Un Sangiovese eccellentissimo.
Il Pareto 1996 – Tenuta di Nozzole/Folonari
Gli anni lo hanno assottigliato, ma ne hanno anche evidenziato una certa compita eleganza. Colore integro, granato chiaro, il bouquet ha rimandi fruttati di ribes rosso e mora di gelso, cipria, echi balsamici e di liquirizia su un fondo di muschio/felce, il tannino è una filigrana preziosa, ha ancora una buona tensione acida, persistenza, ancora sapido sul finale. Siamo arrivati, secondo il parere condiviso di tutti i convitati, appena prima di una fase discendente inevitabile per ogni vino.
Complessità e forza, ampiezza e durata da record, profumi penetranti di frutta sotto spirito, origano, mirto, l’idea stessa della macchia mediterranea, chicco di caffè. Il colore è tra il granato scuro e il rubino. Al palato perde forse in volume, ma la forza è intatta, la trama tannica è fitta e ha ancora mordente, la persistenza è epica.
Brunello di Montalcino Ris. 1985 Madonna del Piano – Valdicava
Colore granato, al pari degli altri senza opacità, Vino da terroir perfetto, esile di corpo, acidità stellare per un 1985 e tannino farinoso, porge sentori di prugna essiccata, ricordi terragni ed ematici, vagamente etereo. Il sorso non ha più molto spessore, ma ci porta comunque a Montalcino con la sua vena fresca e una sua intensa maturità fruttata.
Degustazione Grandi Vini – La cinquina memorabile
Tignanello 2016 – Antinori – Degustazione Grandi Vini
Cepparello 2013 – Isole e Olena – La cinquina memorabile
Il Pareto 1996 – Tenuta di Nozzole/Folonari – Degustazione Grandi Vini
Turriga 1997 – Argiolas
Brunello di Montalcino Ris. 1985 Madonna del Piano – Valdicava
Last evening I was lucky enough to be able to taste, with the right, excellent and competent company of drinkers, five bottles that are difficult to gather together on the same table. Tasting of Great Wines, a memorable five. And we had the rare fortune of finding well-preserved vintage bottles, still alive with the memory of the 2008 Capodistato magnum drunk a few months ago and which was instead gone, which expressed appreciable values.
From memory, aided by the talented Riccardo Viganò and Martino Baldi, I try to describe the five wines of the evening.
Tignanello 2016 – Antinori
A confirmation. Toned and brilliant youth that gives a glimpse of a beautiful future, a wine with little appeal and little peacock, not that exhibition sample that many would expect, it pleases as every time for the expressive rigor, the tension, the fullness of the sip, the vitality, the aromas clean, alive.
Cepparello 2013 – Isole e Olena
It struggles a lot at the opening, it appears contracted, not very dynamic, reduced, but it delivers an exciting finish full of freshness and energy, persistence, lavender, red currants and citrus peel which leaves diners stunned who go looking for the last sip without more find it. A very excellent Sangiovese.
Il Pareto 1996 – Tenuta di Nozzole/Folonari
The years have thinned it, but they have also highlighted a certain refined elegance. Intense color, light garnet, the bouquet has fruity references of red currant and mulberry, powder, balsamic and liquorice echoes on a moss/fern background, the tannin is a precious filigree, it still has a good acid tension, persistence, still tasty on the finish. We arrived, in the shared opinion of all the guests, just before an inevitable downward phase for every wine.
Turriga 1997 – Argiolas
Complexity and strength, record breadth and duration, penetrating aromas of fruit in alcohol, oregano, myrtle, the very idea of the Mediterranean scrub, coffee bean. The color is between dark garnet and ruby. On the palate it perhaps loses volume, but the strength is intact, the tannic texture is dense and still has bite, the persistence is epic.
Brunello di Montalcino Ris. 1985 Madonna del Piano – Valdicava
Garnet in color, like the others without opacity, wine from perfect terroir, thin in body, stellar acidity for a 1985 and floury tannins, offers hints of dried plum, earthy and blood-like memories, vaguely ethereal. The sip no longer has much depth, but it still takes us to Montalcino with its fresh streak and its intense fruity maturity.
Entrando per caso nell’enoteca “Vineria Rossetti” a Ponte Tresa (VA) mi si è svelato un microcosmo piacevolissimo ma fino ad allora sconosciuto. Il simpatico e super-competente sommelier Paolo Parrinello mi ha consigliato questa bottiglia, Murru 2017 dei Garagisti di Sorgono.
Il vitigno è una Monica di Sardegna in purezza allevata ad alberello su suoli di disfacimento granitico bianco. Vigne vecchie e vecchissime (una parcella di 70 anni e le altre due quasi tutte con piante centenarie), rese molto basse (35/40 q/ha), fermentazione e affinamento in acciaio e lavoro di impronta artigianale.
Il vino è di un bel rosso rubino intenso ma non troppo cupo, al naso piuttosto espressivo e complesso con sentori di frutta rossa abbastanza matura, amarena sotto spirito, viola, rimandi balsamici e di spezie amare.
Ma è al palato che il Murru rivela tutto il suo carattere, giocando le migliori carte del mazzo. Attacco morbido, secco e caldo, tannini piuttosto sferici e distesi. La freschezza è presente e ben integrata anche da una sottile e viva spinta minerale, la quale conferisce un’ottima bevibilità. Il sorso è persistente ed il finale è piuttosto lungo e lievemente sapido.
Erano forse 10 anni che non bevevo una Monica di Sardegna e grazie a questa bella bottiglia ho riscoperto un vitigno molto interessante. Mi sovviene la sensazione che questa Monica di Sardegna possa essere raccontata come una di “terra di mezza” tra un bel Cannonau e un Pinot Nero ben fatto. Ovvero corpo, calore, struttura ed energia mitigati e trasformati dalla leggiadria la mineralità e la grande eleganza. Il Murru 2017 è un vino rosso veramente completo e versatile, il quale difficilmente vi stancherà durante il pasto.
Il prezzo è decisamente onesto e questo eleva il rapporto qualità/prezzo su vette molto alte.
Bravi Garagisti di Sorgono. Per chi fosse interessato questi tre ragazzi producono, sempre nel cuore della Sardegna, altri tre vini per un totale di circa 6000 bottiglie all’anno.
L’unica nota negativa è la ovvia difficoltà di reperibilità. Ma questo fa parte del gioco!
Murru 2017 – I Garagisti di Sorgono
Entering by chance the “Vineria Rossetti” wine shop in Ponte Tresa (VA) a very pleasant but until then unknown microcosm was revealed to me. The friendly and super-competent sommelier Paolo Parrinello recommended this bottle to me, Murru 2017 from Garagisti di Sorgono.
The vine is a pure Monica di Sardegna grown as a sapling on white granite weathering soils. Old and very old vineyards (one plot is 70 years old and the other two are almost all with centenary plants), very low yields (35/40 q/ha), fermentation and aging in steel and artisanal work.
The wine is a beautiful, intense but not too dark ruby red, with a rather expressive and complex nose with hints of fairly ripe red fruit, black cherry in spirit, violet, balsamic references and bitter spices.
But it is on the palate that Murru reveals all its character, playing the best cards in the deck. Soft, dry and warm attack, rather spherical and relaxed tannins. The freshness is present and well integrated by a subtle and lively mineral boost, which gives excellent drinkability. The sip is persistent and the finish is rather long and slightly savory.
It was perhaps 10 years since I drank a Monica di Sardegna and thanks to this beautiful bottle I rediscovered a very interesting grape variety. I have the feeling that this Monica di Sardegna can be described as a “middle ground” between a nice Cannonau and a well-made Pinot Noir. That is, body, warmth, structure and energy mitigated and transformed by graceful minerality and great elegance. Murru 2017 is a truly complete and versatile red wine, which will hardly tire you during the meal.
The price is decidedly honest and this raises the quality/price ratio to very high peaks.
Well done Garagisti from Sorgono. For those interested, these three guys produce, again in the heart of Sardinia, three other wines for a total of around 6000 bottles per year.
The only negative note is the obvious difficulty of availability. But this is part of the game!