Dopo il Dodòn 2018 stappo anche il Bianco Sandrigo 2018 per approfondire la conoscenza dei vini del signor Denis Montanar da Borgo Dodone (UD).
Sempre uve Friulano/Tocai con breve macerazione e sosta sulle fecce. Solo acciaio.
Lo gradisco come l’altro, ma lo preferisco per un più manifesto equilibrio, per cui pur restando un vino molto diretto ne guadagna in precisione.
Colore intenso, sentori agrumati, meno exotic del Dodòn già stappato, di purea di albicocca, fiori di camomilla ed erbaceo fresco.
Freschezza, intensità di gusto, ma anche una certa precisione di tratto, sempre in relazione al Dodòn, per cui risulta più suadente e meno ostico sul finale.
Una coppia di bottiglie che invogliano a proseguire nell’approfondimento.
Io stappo molte bottiglie, da solo e in compagnia (questo più spesso fino al marzo 2020) con esito altalenante per soddisfazione personale e/o qualità generale del vino. La finalità nascosta e mai dichiarata è arrivare a stappare ogni tanto bottiglie come questa. Brillante, trascinante, potente e al contempo ben definita ed elegante. Terre a Mano 2015 della Fattoria di Bacchereto che non bevevo da alcuni anni, da una serata in un ristorante localmente famoso a Pistoia in cui il sommelier si scordò di portare il vino, il Terre a Mano per l’appunto, in tavola e in cui non sono mai più tornato.
Sangiovese per il 75 percento, 15 di Canaiolo e 10 Cabernet Sauvignon. 26 mesi in tonneaux da 350 litri sulle fecce fini e poi 6 mesi in bottiglia. Rubino molto vivo, integro, compatto. Intenso al naso, molto Sangiovese e Canaiolo, con richiami penetranti di marasca e cassis, lavanda, arancia sanguinella, leggeri sentori ematici e di tabacco.
Strutturato, denso e succoso al palato, acidità diffusa e avvolgente, trasmette un senso di solida disinvoltura. Ha una bella trama tannica, profondità, precisione e durata. Nel lungo finale si percepisce la presenza del Cabernet Sauvignon con ricordi di carruba e frutto sotto spirito. 10 e lode e corro a ricomprarlo.
Terre a Mano 2015 – Carmignano Docg – Fattoria di Bacchereto
I open many bottles, alone and in company (this more often until March 2020) with mixed results in terms of personal satisfaction and/or general quality of the wine. The hidden and never declared aim is to get to uncork bottles like this every now and then. Brilliant, captivating, powerful and at the same time well defined and elegant. Terre a Mano 2015 from Fattoria di Bacchereto which I had not drunk for some years, since an evening in a locally famous restaurant in Pistoia in which the sommelier forgot to bring the wine, Terre a Mano precisely, to the table and in which I never went back.
75 percent Sangiovese, 15 Canaiolo and 10 Cabernet Sauvignon. 26 months in 350 liter tonneaux on the fine lees and then 6 months in the bottle. Very lively, intact, compact ruby. Intense on the nose, very Sangiovese and Canaiolo, with penetrating hints of morello cherry and cassis, lavender, blood orange, light hints of blood and tobacco.
Structured, dense and juicy on the palate, widespread and enveloping acidity, it conveys a sense of solid ease. It has a nice tannic texture, depth, precision and durability. In the long finish you can perceive the presence of Cabernet Sauvignon with hints of carob and fruit preserved in alcohol. 10 and praise and I run to buy it again.
Quando approccio un produttore di cui non ho mai bevuto nulla cerco di lasciare ogni preconcetto e di approssimarmi alla condizione del bevitore neofita. È il caso di Denis Montanar. Da Borc Dodon/Borgo Dodone nel Friuli.
Friulano con macerazione sulle bucce per 24 ore e fermentazione spontanea in acciaio.
Giallo paglierino scuro, torbido, ricorda sulle prime certe birre ipa evocando il mango essiccato, il cedro, fragranze erbacee che ricordano il bitter , floreali, un amico che lo ha degustato insieme a me disse “ci sento il tuo fiore preferito, l’elicriso…”.
In bocca è frontale, diretto, con una lunga scia sapida, persistente, bevibilissimo, ma non difetta in materia. Sul finale risulta un po’ rustico, ed è il motivo per cui non lo consiglierei a tutti i bevitori, certo non agli amanti del bianco carta e dell’acidità metallica, per via di certe imprecisioni in fase retrolfattiva che potrebbero far storcere il naso, ma che a mio avviso nell’economia gustativa complessiva di questo vino si possono perdonare.
Dodòn 2018 – Venezia Giulia IGT – Denis Montanar
When I approach a producer I have never drank anything from, I try to leave all preconceptions behind and approach the condition of the novice drinker. This is the case of Denis Montanar. From Borc Dodon/Borgo Dodone in Friuli.
Friulano with maceration on the skins for 24 hours and spontaneous fermentation in steel.
Dark straw yellow, cloudy, at first it recalls certain IPA beers evoking dried mango, cedar, herbaceous fragrances reminiscent of bitter, floral, a friend who tasted it with me said “I can smell your favorite flower, helichrysum …”.
In the mouth it is frontal, direct, with a long savory trail, persistent, very drinkable, but not lacking in this respect. On the finish it is a bit rustic, and this is the reason why I would not recommend it to all drinkers, certainly not to lovers of paper white and metallic acidity, due to certain inaccuracies in the aftertaste phase that could make one turn up their noses, but which in my opinion can be forgiven in the overall gustatory economy of this wine.
Tra gli enoappassionati è idea diffusa, tra le altre, che il rotofermentatore e la barrique usate insieme per vinificare il Nebbiolo siano strumenti del Dimonio per svilire l’anima e travisare l’identità di questo nobilissimo vitigno piemontese, ma questa del Nebbiolo d’Alba Cascinotto 2016 di Claudio Alario da Diano d’Alba è la bottiglia che, se mai ce ne fosse bisogno, smentisce in pieno l’idea risultandone all’assaggio una brillantissima interpretazione.
Dicevamo per l’appunto: vinificazione in rotofermentatore e affinamento per 20 mesi in Barrique (metà nuove, metà di secondo passaggio). Definizione, intensità, piacevolezza le parole chiave per descrivere questo vino. Il colore è concentrato, vivo, lo confronto col 2015 bevuto l’anno scorso e al contrario di quello, che risultò inizialmente molto chiuso, è estroverso, dinamico e si rivela prontamente con richiami fruttati di ribes rosso e melograno, di rosa seguiti da note di cacao, e radice aromatica e vaghi ricordi d’agrume e spezie.
In bocca ha buon corpo, acidità smagliante e cremosa, trama tannica importante e nobile con finale intenso. Sostanzioso, pronto, gratificante, mi aspetto di trovarlo tra altri 10 anni a dire la sua.
Nebbiolo d’Alba Cascinotto 2016 – Claudio Alario
Nebbiolo d’Alba Doc
Among wine enthusiasts there is a widespread idea, among others, that the rotary fermenter and the barrique used together to vinify Nebbiolo are tools of the Devil to debase the soul and misrepresent the identity of this most noble Piedmontese grape variety, but this of Nebbiolo d’Alba Cascinotto 2016 by Claudio Alario from Diano d’Alba is the bottle that, if ever it were needed, completely denies the idea, resulting in a brilliant interpretation when tasted.
We were precisely saying: vinification in a rotary fermenter and aging for 20 months in barriques (half new, half second passage). Definition, intensity, pleasantness are the key words to describe this wine. The color is concentrated, lively, I compare it with the 2015 drunk last year and unlike that, which was initially very closed, it is extrovert, dynamic and promptly reveals itself with fruity hints of red currant and pomegranate, of rose followed by notes of cocoa, and aromatic root and vague memories of citrus and spices.
In the mouth it has good body, dazzling and creamy acidity, an important and noble tannic texture with an intense finish. Substantial, ready, rewarding, I expect to find him in another 10 years to have his say.
Una sola bottiglia di Riesling Pierre Frick da Pfaffenheim (Alsazia) e un vagone di Sushi per un divertente capodanno a due e approccio per la prima volta questo monumento del vino organico con risultati entusiasmanti. Per il vino e per l’ottimo abbinamento.
Il Riesling 2015 di Pierre Frick (come da info reperibili sul sito aziendale https://www.pierrefrick.com/cuvees/degustation/Cuvees-en-elevage-classique/Cuvees-de-Creation/Riesling-2015-Pur-Vin-sans-sulfite-ajoute-93.html) si ottiene dopo lunga fermentazione e sosta sulle fecce fini e seguente elevazione in vecchie botti e poi in bottiglia senza aggiunta di solfiti.
Il colore è un giallo intenso quasi dorato. Inizialmente chiuso, chiusissimo sotto il suo tappo a corona, questo vino mi porta a spendere il termine “caleidoscopico” per come si compone col tempo il suo corredo olfattivo. Dopo l’iniziale e continuo ricordo di resina di pino si sommano senza sosta sentori floreali di tarassaco, di frutta tropicale come il mango, il cedro e vaghe reminiscenze affumicate e petrose.
In bocca ha grande carattere, freschezza citrina accompagnata a densità, a intensità di gusto, lunghezza, alla capacità di restare sulla lingua e risalire il cavo orale. Ottimo il finale sempre centrato su note di resina e a cui si aggiunge un ricordo di purea di albicocca. Da segnalare l’ultimo bicchiere rimasto sul tavolo che il giorno dopo continuava tranquillamente la sua evoluzione incurante del tempo e dell’ossigeno.
Riesling 2015 – Pierre Frick
A single bottle of Pierre Frick Riesling from Pfaffenheim (Alsace) and a wagon of Sushi for a fun New Year’s Eve for two and I approach this monument of organic wine for the first time with exciting results. For the wine and the excellent pairing.
Pierre Frick’s Riesling 2015 (as per the information available on the company website https://www.pierrefrick.com/cuvees/degustation/Cuvees-en-elevage-classique/Cuvees-de-Creation/Riesling-2015-Pur-Vin- sans-sulfite-ajoute-93.html) is obtained after long fermentation and rest on the fine lees and subsequent elevation in old barrels and then in the bottle without the addition of sulphites.
The color is an intense, almost golden yellow. Initially closed, very closed under its crown cap, this wine leads me to use the term “kaleidoscopic” for how its olfactory composition is composed over time. After the initial and continuous memory of pine resin, floral hints of dandelion, tropical fruit such as mango, cedar and vague smoky and petrous reminiscences continuously add up.
In the mouth it has great character, citrus freshness accompanied by density, intensity of taste, length, the ability to remain on the tongue and move up the oral cavity. The finish is excellent, always centered on notes of resin and to which is added a hint of apricot puree. Of note is the last glass left on the table which continued its evolution the following day, regardless of time and oxygen.
Viene da Prepotto questo Refosco dal Peduncolo Rosso di Ronchi di Cialla. Colli Orientali del Friuli Doc sottozona Cialla.
Acciaio, sosta prolungata sulle fecce fini e ulteriore affinamento in bottiglia.
Se ti resta impresso è per la non consueta congiunzione di due elementi. La compatta semplicità e la definizione.
Il colore è intenso tra il rubino e il purpureo. Al naso offre sentori di more e ribes nero, di spezie, reminiscenze di rabarbaro. Il sorso è pieno, lineare, equilibrato, ricco, con tannino smussato e buon finale coerente.
Buono e buono è il rapporto prezzo/soddisfazione.
Dopo aver tanto sentito parlare di Ronchi di Cialla finalmente stappo una bottiglia di persona e concludo che a breve ne stapperò un’altra.
Refosco Ronchi di Cialla 2017
This Refosco dal Peduncolo Rosso from Ronchi di Cialla comes from Prepotto. Colli Orientali del Friuli Doc sub-area Cialla.
Steel, prolonged rest on the fine lees and further refinement in the bottle.
If it sticks in your mind it’s because of the unusual conjunction of two elements. The compact simplicity and definition.
The color is intense between ruby and purple. On the nose it offers hints of blackberries and blackcurrants, spices, reminiscences of rhubarb. The sip is full, linear, balanced, rich, with smooth tannins and a good, coherent finish.
The price/satisfaction ratio is good and good.
After hearing so much about Ronchi di Cialla I finally uncorked a bottle myself and concluded that I will uncork another soon.
Della Vespolina Ledi dell’Azienda Barbaglia di Cavallirio (NO) conservavo un bel ricordo da una serata di degustazione alla presenza di Silvia Barbaglia all’Enoteca Nati Stanchi di Pistoia. Mi pento adesso che è vuota di averne acquistata una soltanto.
Vespolina con affinamento in acciaio e bottiglia.
Scuro, intenso il colore, sentori di viola e frutto maturo, spiccano note speziate di cannella e pepe, molto brillante.
In bocca se la gioca per spontaneità, piacevolezza, equilibrio, pulizia.
Suadente in ingresso, quasi vellutato, acidità avvolgente, pienezza gustativa e una pregevole chiusa tannica in cui coerenti tornano la mora matura e le spezie.
Ottimamente semplice e diretto. In ottima compagnia con gli Gnocchi alla Romana al Sugo.
Vespolina Ledi 2015 – Barbaglia
I had fond memories of the Vespolina Ledi from the Barbaglia company from an evening of tasting in the presence of Silvia Barbaglia at the Enoteca Nati Stanchi in Pistoia. Now that it’s empty, I regret having only bought one.
Vespolina with aging in steel and bottle.
Dark, intense colour, hints of violet and ripe fruit, spicy notes of cinnamon and pepper stand out, very bright.
In the mouth it plays with spontaneity, pleasantness, balance, cleanliness.
Persuasive on entry, almost velvety, enveloping acidity, fullness of flavor and a fine tannic finish in which the ripe blackberry and spices return coherently.
Excellently simple and direct. In excellent company with Gnocchi alla Romana with sauce.
Il Vespolina o Ughetta è un vitigno a bacca nera. Giunge a piena maturazione verso la prima metà di ottobre. Sull’origine del suo nome esistono molte versioni, tra le quali quella che lo attribuisce al fatto che l’uva è molto dolce e attrae le vespe.
Storia
Già dal secolo XVIII viene coltivata in Alto Piemonte (province di Novara, Vercelli e Biella), dove è vinificata anche in purezza nelle due denominazioni di zona (Coste della Sesia e Colline Novaresi), ed entra nell’uvaggio delle DOC Lessona, Bramaterra, Boca, Fara e Sizzano e delle DOCG Gattinara e Ghemme. Viene coltivata da tempi remoti anche in provincia di Pavia sulle colline dell’Oltrepò Pavese, dove rientra nell’uvaggio della DOC Oltrepò Pavese ed in quella del Buttafuoco. È un vitigno di vigoria e produttività moderate, piuttosto regolare.
La prima descrizione della Vespolina risale al 1825, poi ad opera del Gallesio, che la chiamò Vitis Vinifera Circumpadana. Fra i sinonimi ricordiamo ughetta e uvetta di Canneto in Oltrepò, balsamina in Val d’Ossola, nespolina o nespolino (nespoulìn), inzaga o inzagre, massana, solenga, novarina, uva cinerina, vispavola, vespolino.
Appare di domenica mattina, come un proiettile tracciante a indicare la direzione nell’oscura delusione innescata da alcune bottiglie discutibili, questo Brda 2016 di Kristian Keber figlio di Edi da Zegla-Cormons. Collio.
Definiamolo Orange Wine per semplicità. Ribolla, Malvasia e Friulano con macerazione sulle bucce, fermentazione spontanea, passaggio in legno grande. Biodinamica.
Il colore ricorda quello dell’ambra. Vagamente opalescente. Stappato volontariamente freddo per curiosità, coi minuti si compone un quadro olfattivo vario e ben definito. Elicriso, pompelmo, nespola in prima battuta, a cui si aggiungono in seguito sentori di chicco di caffé e sfalcio d’erba medica. Il sorso è un crescendo pieno di tensione che si libera in un finale che rievoca a lungo il frutto disidratato, a tratti balsamico, erbe aromatiche. Vino che ha grande presenza e precisione.
Un vino che infonde fiducia e innesca il buonumore.
Con lo Sformato di Patate e Cavolfiore in buona accoppiata.
Brda 2016 – Kristian Keber
This Brda 2016 by Kristian Keber son of Edi from Zegla-Cormons appears on Sunday morning, like a tracer bullet to indicate the direction in the dark disappointment triggered by some questionable bottles. Collio.
Let’s call it Orange Wine for simplicity. Ribolla, Malvasia and Friulano with maceration on the skins, spontaneous fermentation, passage in large wood. Biodynamics.
The color resembles that of amber. Vaguely opalescent. Uncorked voluntarily cold out of curiosity, over the minutes a varied and well-defined olfactory picture is created. Helichrysum, grapefruit, medlar at first, to which are later added hints of coffee bean and alfalfa clippings. The sip is a crescendo full of tension that is released in a finish that recalls the dehydrated fruit, at times balsamic, aromatic herbs. Wine that has great presence and precision.
A wine that instills confidence and triggers good mood.
With the Potato and Cauliflower flan in good combination.
Spesso si viaggia ad ispirazione, a volte si programma leggendo riviste, alcune volte libri: “Varie contrade segnalate con la denominazione di Lamola o Lamole, vale a dire di piccole Lame si trovano in toscana”. La nostra metà si colloca qui: “circa 3 miglia toscane a scirocco di Greve, Diocesi di Fiesole. Trovasi sulla pendice settentrionale del Poggio delle Stinche, fra i due primi rami della fiumana di Greve, nella strada pedonale che guida sulla cresta del monte di Cintoja. I vigneti che danno il buon vin di Lamole cotanto lodato, sono piantati fra i macigni di cotesto poggio”. Così scrive il Repetti sul suo Dizionario geografico fisico storico della Toscana.
In effetti la descrizione è calzante, allontanandosi da Greve e Panzano si abbandonano le colline tondeggianti e caratterizzate da geometrici filari che vediamo nelle pubblicità del “Chiantishire”. I pendii della collina si fanno più scoscesi, le vigne sono abbarbicate a terrazzamenti con muretti a secco costruiti spaccando il macigno dei monti del Chianti di cui fa parte questa località.
Lamole Vino Paesaggio
Arriviamo finalmente nel piccolo borgo di Lamole che si è sviluppato intorno alla pieve un chilometro più in alto del castello. Qui un’altra particolarità, le persone (rare) sono cordiali, ma con meno dipendenza verso il turista, quasi diffidenti, sembra di essere tornati indietro nel tempo.
Eccoci arrivati dai nostri ospiti Annamaria Socci e suo marito Giuliano che ci accolgono nella loro azienda le Masse di Lamole. L’accoglienza è freddina. Non come si potrebbe credere; è una giornata novembrina fantastica, niente vento e tanto sole, però no. Non dipende neppure da loro, che sono riservati, ma felici di mostrarci la loro cantina. Si, è la cantina che tutta in pietra è quasi fredda.
Ma dopo cinque minuti ci siamo già scaldati sorseggiando il famoso sangiovese di Lamole e ascoltando Annamaria che con passione descrive come viene fuori questo vino che è un Chianti Classico, ma mantiene una freschezza anche nell’ invecchiamento mai sentito in altri vini locali.
Poi con Giuliano andiamo in vigna e apprezziamo la peculiarità di questo paesaggio, sotto i nostri piedi i Terrazzamenti di Lamole, la loro è la vigna più alta che arriva quasi a 700 m, di fronte a noi in controluce vediamo le colline di San Casciano e Panzano che chiudono l’orizzonte. I vini, favolosi, hanno una marcia in più. Sarà per il minimo “lavoro” in cantina, per il passaggio nelle botti di castagno che li rende godibilissimi, tanto che la degustazione diventa quasi libagione.
Lasciati Annamaria e Giuliano penso a ciò che più mi è rimasto impresso di questa gita, quasi dimenticavo il loro vinsanto, ottimo, fatto come una volta non troppo dolce, anzi quasi secco. Altra cosa che mi piace molto è la loro etichetta, che raffigura un semplice ed elegantissimo giaggiolo (iris) usato anche in profumeria, probabilmente contribuisce al bouquet del loro Sangiovese.
Le Masse di Lamole: vini genuini e irreprensibili, ricordano loro due: veri cordiali, senza fronzoli.
Lamole History of Wine and landscape – Lamole Vino Paesaggio
Often we travel for inspiration, sometimes we plan by reading magazines, sometimes books: “Various districts marked with the denomination of Lamola or Lamole, that is to say small Lame are found in Tuscany”. Our half is located here: “about 3 Tuscan miles to the sirocco of Greve, Diocese of Fiesole. It is located on the northern slope of the Poggio delle Stinche, between the two first branches of the Greve river, in the pedestrian road that leads to the crest of the mountain of Cintoja. The vineyards that produce the good Lamole wine so praised, are planted among the boulders of this hill”. Thus writes Repetti in his historical physical geographical dictionary of Tuscany.
In fact the description is apt, moving away from Greve and Panzano you abandon the rounded hills characterized by geometric rows that we see in the “Chiantishire” advertisements. The slopes of the hill become steeper, the vineyards cling to terraces with dry stone walls built by splitting the boulder of the Chianti mountains of which this location is part.
We finally arrive in the small village of Lamole which developed around the parish church one kilometer higher than the castle. Another peculiarity here, the people (rare) are friendly, but with less dependence on the tourist, almost distrustful, it seems like we have gone back in time.
Here we are at our hosts Annamaria Socci and her husband Giuliano who welcome us to their company Masse di Lamole. The welcome is cold. Not as you might think; it’s a fantastic November day, no wind and lots of sun, but no. It doesn’t even depend on them, who are reserved, but happy to show us their cellar. Yes, it is the cellar which is all stone and is almost cold.
But after five minutes we were already warmed up by sipping the famous Sangiovese from Lamole and listening to Annamaria who passionately describes how this wine comes out which is a Chianti Classico, but maintains a freshness even during aging never felt in other local wines.
Then with Giuliano we go to the vineyard and appreciate the peculiarity of this landscape, under our feet the Lamole Terraces, theirs is the highest vineyard which reaches almost 700 m, in front of us against the light we see the hills of San Casciano and Panzano that close the horizon. The fabulous wines have an edge. It may be because of the minimal “work” in the cellar, for the passage in chestnut barrels which makes them very enjoyable, so much so that tasting them almost becomes a libation.
Bevo questo vino da anni, da quando un amico mi riportò una selezione di bianchi friulani da un suo viaggio di approfondimento in Friuli. Tra quelle bottiglie insieme a quelle di Keber c’erano bottiglie di Zidarich, Kante, Vodopivec, ma l’amore per il Collio Bianco di Edi Keber sbocciò subitaneo. Da allora di bottiglie nella campana del vetro ne sono finite tante, fino ad andare a visitare la cantina lo scorso novembre. Mai una delusione.Seppure questo 2017 non sia considerabile a mio avviso il più brillante dei vini di Edi Keber, resta una bevuta di buon livello. E conferma che tra le cose apprezzabili nell’opera di questo vignaiolo c’è sicuramente la capacità di offrire vini che non si replicano anno dopo anno, ma vini che hanno il coraggio di presentare una propria personalità peculiare.Il colore è giallo con riflessi verdolini. Profumi non esplosivi, ma continui, fiore di Camomila, pera wlliams, erbaceo fresco, vagamente balsamico. Perde un po’ in freschezza se confrontato con alcuni suoi predecessori risultando più opulento, spesso, centrato sul frutto e sul calore. Nel finale frutta candita e un tocco di mandorla.
Collio 2017 – Edi Keber
I have been drinking this wine for years, ever since a friend brought me back a selection of Friulian whites from an in-depth trip to Friuli. Among those bottles, together with those of Keber, there were bottles of Zidarich, Kante, Vodopivec, but Edi Keber’s love for Collio Bianco blossomed immediately. Since then, many bottles have ended up in the glass bell jar, until we went to visit the cellar last November. Never a disappointment. Although this 2017 cannot be considered the most brilliant of Edi Keber’s wines in my opinion, it remains a good drink. And it confirms that among the appreciable things in the work of this winemaker there is certainly the ability to offer wines that are not replicated year after year, but wines that have the courage to present their own peculiar personality. The color is yellow with greenish reflections . Perfumes not explosive, but continuous, chamomile flower, Williams pear, fresh herbaceous, vaguely balsamic. It loses a little in freshness when compared to some of its predecessors, resulting more opulent, often, centered on fruit and heat. In the finish candied fruit and a touch of almond.