A un chilometro circa dall’abitato di Lamole, sul punto altimetricamente più rilevante della zona, si trova il borgo da cui la cantina prende il nome. A conduzione familiare, vini identitari, tradizionali, caratterizzati da franchezza espressiva e che sovente mi capita di bere e sempre con soddisfazione. Cantina che ho avuto la fortuna di visitare più volte apprezzando la schietta e discreta ospitalità dei proprietari Annamaria e Giuliano. Sangiovese. Acciaio e invecchiamento in botti di castagno. Colore rubino di media intensità. Al naso l’arancia è predominante, poi seguono la marasca, l’iris, anice, in bocca freschissimo, lungo, di corpo snello, ma di forza nervosa e con tannini vitali e fruttuosità per un sorso definito e appagante. Finale coerente su arancia e marasca. Vino di carattere per veri amanti del Sangiovese. A fine bottiglia ho la sensazione che a Le Masse di Lamole con questo 2016 abbiano prodotto la loro personale migliore interpretazione del Sangiovese.
Chianti Classico 2016 – Le Masse di Lamole
About one kilometer from the town of Lamole, on the highest altitude point in the area, is the village from which the winery takes its name. Family run, identity-producing, traditional wines, characterized by expressive frankness and which I often drink and always with satisfaction. A winery that I have been lucky enough to visit several times, appreciating the frank and discreet hospitality of the owners Annamaria and Giuliano. Sangiovese. Steel and aging in chestnut barrels. Medium intensity ruby colour. On the nose, orange is predominant, then followed by morello cherry, iris, anise, very fresh in the mouth, long, with a slim body, but with nervous strength and vital tannins and fruitiness for a defined and satisfying sip. Coherent finish on orange and morello cherry. Wine of character for true Sangiovese lovers. At the end of the bottle I have the feeling that Le Masse di Lamole with this 2016 have produced their personal best interpretation of Sangiovese.
Les Enfers Mathieu Cosme 2019 Chenin Blanc/Vouvray/Loira
5 generazioni di vignaioli
Les Enfers Mathieu Cosme a Noizay, paese nella zona sud est di Vouvray, è alla quinta generazione di vignaioli. Domaine condotto in regime biologico-biodinamico dal 2010 (certificato bio nel 2014) con un profilo di basso intervento in vigna come in cantina. La vigna Les Enfers, che dona il nome a questo Chenin Blanc (qui un approfondimento) in purezza, è situata nella “Première Côte” di Vouvray. Esposizione a sud, microclima particolarmente privilegiato e caldo che d’estate diviene appunto un “inferno”, come racconta Cosme. Terreno argillo-calcareo, vigne di 40 anni con lavorazione esclusivamente manuale e con il solo utilizzo del cavallo. Fermentazione spontanea in botti da 400l, dove il vino rimane per 12 mesi.
Giallo paglierino carico con riflessi dorati, al naso si presenta esplosivo ed ampio, con frutta gialla matura, accenni di frutta esotica, fiori bianchi, leggere note di marzapane. Il sorso è coerente, molto morbido e caldo, di grande corpo e struttura. Si espande al palato con densità e potenza, un accenno piacevole di dolcezza, molto sapore. A queste sensazioni appaganti di sfericità e impatto materico, si aggiunge la proverbiale freschezza del vitigno, che insieme ad una buona vena minerale-sapida, riequilibrano il sorso che rimane molto lungo e gratificante.
Les Enfers è stata per me è stata una scoperta inaspettata e a dir poco gradita. Bevuto al calice in un enoteca, ho acquistata subito dopo la bottiglia della quale vi sto scrivendo. Si tratta di un grande Chenin Blanc, di rara potenza, generoso e solare, il quale riesce a mantenersi sui binari dell’equilibrio grazie alla buona acidità e mineralità che intervengono in aiuto del sorso, come l’ABS nelle frenate d’emergenza. Non si tratta quindi di uno di quegli Chenin Blanc della Loira tutto acidità sferzante e sapidità, e la bevibilità (che pur ritengo buona) non è certo la migliore caratteristiche di questo vino. Anche se lo Chenin Blanc generalmente invecchia bene, personalmente eviterei di berlo più in là di 3/4 anni dalla vendemmia, potrebbe appesantirsi col tempo.
Il rapporto qualità-prezzo è nella media, ma a mio avviso vale la pena cercarlo a scaffale. Si può abbinare con felicità a piatti di pesce saporiti e conditi, pietanze a base di carne bianca, formaggi stagionati ed erborinati e molto altro ancora. Io, ad esempio, l’ho bevuto con passione insieme ad un hamburger di manzo fatto i casa, farcito con radicchio, gorgonzola e ‘nduja.
Les Enfers Mathieu Cosme 2019 Chenin Blanc/Vouvray/Loire
5 generations of winemakers
Mathieu Cosme in Noizay, a town in the south-east of Vouvray, is in his fifth generation of winemakers. Domaine managed in an organic-biodynamic regime since 2010 (certified organic in 2014) with a low intervention profile in the vineyard and in the cellar. The Les Enfers vineyard, which gives its name to this pure Chenin Blanc, is located in the “Première Côte” of Vouvray. Southern exposure, particularly privileged and hot microclimate which in summer becomes a “hell”, as Cosme says. Clay-limestone soil, 40-year-old vineyards with exclusively manual processing and the sole use of horses. Spontaneous fermentation in 400l barrels, where the wine remains for 12 months.
Deep straw yellow with golden reflections, the nose is explosive and broad, with ripe yellow fruit, hints of exotic fruit, white flowers, light notes of marzipan. The sip is coherent, very soft and warm, with great body and structure. It expands on the palate with density and power, a pleasant hint of sweetness, lots of flavor. To these satisfying sensations of sphericity and material impact, is added the proverbial freshness of the vine, which together with a good mineral-savory vein, rebalance the sip which remains very long and rewarding.
Les Enfers was an unexpected and pleasant discovery for me. Drank by the glass in a wine shop, I immediately purchased the bottle I’m writing to you about. It is a great Chenin Blanc, of rare power, generous and sunny, which manages to stay on the tracks of balance thanks to the good acidity and minerality which intervene to help the sip, like the ABS in emergency braking. It is therefore not one of those Chenin Blancs from the Loire that is all lashing acidity and flavour, and the drinkability (which I think is good) is certainly not the best characteristic of this wine. Even though Chenin Blanc generally ages well, personally I would avoid drinking it more than 3/4 years after the harvest, as it could become heavier over time.
The quality-price ratio is average, but in my opinion it is worth looking for on the shelf. It can be happily paired with tasty and seasoned fish dishes, white meat dishes, mature and blue cheeses and much more. I, for example, drank it with passion together with a home-made beef burger, stuffed with radicchio, gorgonzola and ‘nduja.
Lunga macerazione, invecchiamento in botti grandi e tonneaux, esposizione a sud e sud ovest in Monforte.
Bevo per la prima volta, ma credo non sarà l’ultima, un vino dell’azienda di Giovanni Manzone e ne resto piacevolmente impressionato. Un Barolo che potrebbe essere definito tradizionale e che combina le suggestioni tipiche di questa tipologia con una struttura importante che ne amplifica la piacevolezza, un Barolo lineare, termine che uso in senso laudativo, espressivo e di carattere aperto al naso e dotato di suadenza gustativa il che lo rende un vino godibile anche in questa fase giovanile. Buono nell’immediato, ma anche a ragion veduta.
Colore rubino intenso, un bouquet intenso e definito con sentori floreali di rosa, ampiamente fruttato con note prevalenti di marasca e melograno, ricordi agrumati e di radice aromatica, lievemente speziato, balsamico.
Al palato esordisce caldo e con discreto volume, c’è concentrazione, ma l’acidità è distribuita e vitale, i tannini che sono un perfetto connubio di forza e maturità. Lungo il finale che è tutto sul frutto in piena coerenza. Vino molto preciso, equilibrato e piacevole che vale ampiamente il suo prezzo e che riberrei e che consiglio vivamente.
Barolo Gramolere 2013 – Giovanni Manzone – Monforte d’Alba
Long maceration, aging in large barrels and tonneaux, exposure to the south and south-west in Monforte.
I drink a wine from Giovanni Manzone’s company for the first time, but I think it won’t be the last, and I am pleasantly impressed. A Barolo that could be defined as traditional and that combines the typical suggestions of this typology with an important structure that amplifies its pleasantness, a linear Barolo, a term that I use in a laudatory sense, expressive and of a character open to the nose and endowed with persuasive taste. which makes it an enjoyable wine even in this youthful phase. Good immediately, but also with good reason.
Intense ruby colour, an intense and defined bouquet with floral hints of rose, widely fruity with prevailing notes of morello cherry and pomegranate, citrus and aromatic root notes, slightly spicy, balsamic.
On the palate it begins warm and with discreet volume, there is concentration, but the acidity is distributed and vital, the tannins are a perfect combination of strength and maturity. Long finish which is all about the fruit in full coherence. A very precise, balanced and pleasant wine that is well worth its price and which I would drink again and highly recommend.
Albarino “Albamar” Bodegas Albamar 2019 Rías Baixas DO
Non ci si imbatte in un Albarino (o Albariño) tutti i giorni, almeno non alle nostre latitudini. Così come in un qualunque altro vino della Galizia, ed onestamente stando a quento ho trovato nel calice è un vero peccato.
Albamar è ottenuto da uve Albarino, provenienti da vigneti siti sopra l’Oceano Atlantico che poggiano su suoli sabbiosi di origine granitica, e durante le mareggite l’Oceano inonda letteralmente le piante di vite. Agricoltura biologica ed in cantina si prosegue coerentemente, lavorando in modo poco o nulla interventista. Fermentazioni alcoliche spontanee, affinamento per 8 mesi sulle fecce fini in vasche d’acciaio e botti grandi da 20 hl senza filtrazione prima dell’imbottigliamento e minime quantità di solforosa.
Nella sua veste giallo paglierino vivace si porge intensamente al naso, da prima con note aromatiche di agrume e mela, per poi virare nettamente su grandi effluvi salini e iodati. All’assaggio non ho faticato a visualizzare le onde che infrangendosi sulla banchigia arrivano dolcemente fino alla pianta e da essa nel sottosuolo, fino alle radici. Il vino è a dire poco sapido, direi a tratti piacevolmente salato. È questo elemento marino che contraddistigue nettamente anche il sorso, appoggiato da una bella freschezza, da una morbidezza ed una struttura tattile che rendono il sorso profondo, completo e molto gratificante.
Per un palato come il mio che apprezza la mineralità e la sapidità (talvolta anche a costo di perdere un pò l’equilibrio), questo vino della Bodegas Albamar è stato una piacevolissima scoperta, una rivelazione, un viaggio in terre sconosciute.
Con tartare di salmone, avocado e mela golden è stata passione.
Dopo aver incontrato questa bottiglia alcune volte, da solo e in compagnia, avendo osservato le reazioni che ha provocato nei bevitori più disparati e in me stesso, posso dire che si tratta di un vino che emoziona e sorprende.
Da Sagrado di Sgonico nel Carso. Vitovska e Malvasia in parti uguali. Macerazione per 28 giorni e passaggio in barrique di 2 anni. Colore giallo intenso, appena opalescente, un orange/non orange che a mio avviso nel panorama locale e tra gli omologhi trova una sua collocazione particolare per la forza espressiva e il controllo di certi elementi che talvolta nei suddetti finiscono un po’ bradi. Bouquet ampio e penetrante con profumi di nespola, camomilla, zenzero, a lato note tostate e di resina di cipresso. Proverbiali la vitalità del sorso, la sua profondità e la sua forza di gusto. Questo equilibrio che sembra sempre sul punto di crollare e che invece non crolla e che finisce per donare tensione e divertimento. Proverbiale anche il rapporto qualità prezzo.
Già ne parlammo qui: https://www.enonauta.it/2021/04/26/memorie-da-un-aperitivo-ricco/
Bezga Lune 2015 – Milič Igt Venezia Giulia
After having encountered this bottle a few times, alone and in company, having observed the reactions it has provoked in the most disparate drinkers and in myself, I can say that it is a wine that excites and surprises.
From Sagrado di Sgonico in the Carso. Vitovska and Malvasia in equal parts. Maceration for 28 days and passage in barrique for 2 years. Intense yellow colour, slightly opalescent, an orange/non-orange which in my opinion finds its particular place in the local panorama and among its counterparts due to the expressive strength and control of certain elements which sometimes end up a little sparse in the aforementioned ones. Large and penetrating bouquet with aromas of medlar, chamomile, ginger, alongside toasted notes and cypress resin. The vitality of the sip, its depth and its strength of taste are proverbial. This balance that always seems on the verge of collapsing and which instead doesn’t collapse and which ends up giving tension and fun. The value for money is also proverbial.
We already talked about it here: https://www.enonauta.it/2021/04/26/memorie-da-un-aperitivo-ricco/
Caparsino Chianti Classico Riserva da Radda in Chianti. Ovvero il grande bere toscano tradizionale. Sangiovese 100 percento, vinificato in cemento e maturato in botte grande di rovere. Vino che è figlio dell’ingegno enoico di due dei più talentuosi vignaioli (ed enologi) toscani: Paolo Cianferoni e Federico Staderini. Il primo a guida di una azienda che si può tranquillamente definire un faro. Il secondo enologo di chiara fama e adesso a capo di Cuna, pioniere del Pinot Nero Casentinese.
Se ciò che viene chiamato Souplesse esiste è dentro questa bottiglia dove coesistono definizione, concentrazione, vitalità e una eccezionale trama.
Vivo colore tra il rubino e il granato scuro, profumi di marasca, scorza d’arancia, finemente speziato, ricordo di tabacco dolce e confettura di more, appena ematico, balsamico.
Equilibrio e precisione, fruttuosità avvincente, tannino che, trovata la via verso un nobile ammorbidimento, profila e rinfresca, il sorso si espande, gratifica, dura. Tra le migliori bevute di sempre.
Con lo Spezzatino in umido (senza pomodoro) in abbinamento ottimo.
Caparsino 2010 Chianti Classico Riserva – Caparsa
Caparsino Chianti Classico Riserva from Radda in Chianti. That is, the great traditional Tuscan drink. 100 percent Sangiovese, vinified in cement and matured in large oak barrels. A wine that is the result of the oenological genius of two of the most talented Tuscan winemakers (and oenologists): Paolo Cianferoni and Federico Staderini. The first to lead a company that can easily be defined as a beacon. The second well-known winemaker and now head of Cuna, pioneer of Casentino Pinot Noir.
If what is called Souplesse exists, it is inside this bottle where definition, concentration, vitality and an exceptional texture coexist.
Vivid color between ruby and dark garnet, aromas of morello cherry, orange peel, finely spiced, hints of sweet tobacco and blackberry jam, slightly bloody, balsamic.
Balance and precision, compelling fruitiness, tannin which, having found its way towards a noble softening, outlines and refreshes, the sip expands, gratifies, lasts. Among the best drinks ever.
Il Cinque di Le Boncie (spesso chiamato Podere Le Boncie), è il vino di entrata dell’azienda di Giovanna Morganti. Cinque, come i vitigni che compongono questo vino (Sangiovese in gran prevalenza, poi Ciliegiolo, Mammolo, Fogliatonda e Colorino). Se Elisabetta Foradori è considerata la signora del Teroldego, Giovanna Morganti può essere considerata, senza esagerare, la signora del Chianti, inteso come territorio e non come referenza DOCG. La sua rinuncia (per il suo vino di punta il “Le Trame”) alla DOCG a favore dell’IGT venne da tutti additata come follia, eresia. Fu in parte gesto di protesta per la bocciatura di un suo vino da parte della commissione del Chianti Classico. Ma anche un atto di libertà ai fini di poter continuare a lavorare in totale autonomia espressiva, producendo vini che rappresentassero il territorio e la proria idea di viticoltura, senza necessariamente preoccuparsi di ogni singolo aspetto di rigido disciplinare.
La sua azienda, di circa quattro ettari, è interamente condotta in regime biologico-biodinamico e la vinificazione è assolutamente di carattere non interventista, artigianale-naturale. I terreni sono di limo e argilla (con alta concentrazione di calcare). Vigneti ad alberello, alta densità, vinificazione tradizionale con fermentazioni spontanee con lieviti indigeni svolte in piccoli tini aperti, senza controllo delle temperature e con macerazioni non eccessivamente lunghe.
Il Cinque appare in tutta la sua energia già dal colore rosso rubino veramente brillante, luminoso e traslucente. Sentori di piccoli frutti rossi, ciliegia, mammola, scorza di arancia e qualche leggera speziatura dolce al naso. Al palato è secco, morbido, caldo e con tannini arrotondati. La Buona acidità, e la discreta mineralità, unite ad una buona gestione dell’alcool, ne fanno un vino dal sorso equilibrato, teso, dinamico e vitale. Forse non possiede una precisione chirurgica, ma regala espressività, coerenza organica, buona finezza ed un grande servizio al pasto.
Questo vino di Le Boncie, almeno in questo assaggio ed in questa annata, è un eccellente esempio di come si possa lavorare in maniera veramente naturale (per usare un termine speso abusato, tal volta anche in maniera impropria), senza perdere di vista il territorio, il vitigno, ma sopratutto il cliente-consumatore il quale non necessariamente deve essere ammaliato dall’aura mitica di un produttore, finendo in ultimo di perdere di vista il calice e quel che lo riempie.
Il rapporto qualità-prezzo-soddisfazione a mio avviso è molto alto e rimarrà certamente tra quei vini che mi ripropongo di bere nuovamente.
Thierry Germain è un vignaiolo che ha la sua azienda (Domaine des Roches Neuves) a Varrains, vicino Saumur, uno dei luoghi più vocati di tutta la denominazione di Saumur-Champigny, dove nascono alcuni dei migliori vini della Loira. Vignaiolo entusiasta, rispettoso, grande interprete e promotore del territorio con le sue innumerevoli vinificazioni parcellari.
Chenin Blanc 100 percento da vecchie viti. Agricoltura Biodinamica. Affinamento sulle fecce per 9 mesi.
Vino chiaro, quasi diafano, profumatissimo e fresco. Porge aromi di fiori di campo, lemongrass e mela, petroso, appena erbaceo, sorso fresco, freschissimo, verticale, acidità fluente e sapidità in rilievo fiancheggiate da una buona materia. Persistente, finale coerentemente agrumato. La poca dimestichezza col vitigno, lo avrò incontrato nella vita tre/quattro volte, non mi consente di fare un confronto adeguato con altri rappresentanti della tipologia e della regione d’origine, ma l’ignoranza consapevole è il miglior viatico verso approfondimenti e sorprese piacevoli. Il giudizio sul vignaiolo autore di questo vino, Thierry Germain, dopo aver bevuto questo e altri suoi vini è però più che positivo.
Thierry Germain is a winemaker who has his company (Domaine des Roches Neuves) in Varrains, near Saumur, one of the most suitable places in the entire Saumur-Champigny appellation, where some of the best Loire wines are born. Enthusiastic, respectful winemaker, great interpreter and promoter of the territory with its countless parcel vinifications.
Chenin Blanc 100 percent from old vines. Biodynamic agriculture. Aging on the lees for 9 months.
Clear wine, almost diaphanous, very fragrant and fresh. It offers aromas of wild flowers, lemongrass and apple, stony, slightly herbaceous, fresh, very fresh, vertical sip, flowing acidity and prominent flavor flanked by good material. Persistent, consistently citrusy finish. The lack of familiarity with the vine, I will have encountered it three/four times in my life, does not allow me to make an adequate comparison with other representatives of the type and region of origin, but conscious ignorance is the best viaticum towards insights and pleasant surprises . However, the opinion on the winemaker who created this wine, Thierry Germain, after drinking this and his other wines is more than positive.
Domaine Faiveley è una delle più grandi ed importante aziende in Borgogna. Nonostante questa sua estensione territoriale e produttiva il suo lavoro rimane improntato sul mantenimento di un elevata qualità, potendo contare anche sul 75% delle vigne in regime biologico. Questo Village di Gevrey-Chambertin 2018 da vecchie vigne (viti comprese tra i 50 e gli 80 anni) cresce su suolo marno-argilloso con elevata presenza di ferro. Follature giornaliere, sulle fecce per 19 giorni, poi 14 mesi in botte di rovere francese con tostatura moderata. In fine due mesi di ulteriore maturazione in vasca.
Colore rosso rubino profondo, penetrabile. Al naso appare didattico, pulito, non troppo inteso ma persistente. Frutta rossa di rovo, amarena, poi un bel floralee scuro dove spicca una netta rosa rossa e una leggera violetta. In chiusura sottobosco con funghi e terriccio.
Al palato è secco, piuttosto morbido, di buon corpo (non troppo per essere un Gevrey C.), con una freschezza presente ma non slanciata ed una discreta mineralità che va a chiudere. Il sorso è coerente, gratificante e ben bilanciato, caldo ma non troppo.
Ho apprezzato questo vino maggiormente il giorno seguente all’apertura, quando l’ho trovato più disteso ed espressivo. Ovviamente è un buon vino, anzi direi ottimo, ma avendo bevuto qualche borgogna negli ultimi anni, non lo posizionerei in un ipotetica “top ten”. È molto equilibrato, gradevole, accompagna bene il pasto ed è assolutamente ben fatto. È un vino che manca però, secondo me, di un poco di poesia. Non emoziona e non stupisce nemmeno per qualche difetto. Il nome è un blasone e forse questo lo penalizza un pò a livello psicologico, poiché pur essendo un village (comunque da vecchie vigne) mi sarei aspettato uno scatto in più. Almeno un allungo che mi facesse ricordare di lui. Anche perché al suo prezzo di vini pronti a raccontarci qualcosa, provare a stupirci e farci ricordare di loro nel tempo, se ne trovano (se si è bravi anche molti). Forse non a Gevrey Chambertin.
Domaine Faiveley is one of the largest and most important estates in Burgundy. Despite this territorial and productive extension, his work remains based on maintaining high quality, also being able to count on 75% of the vineyards being organic. This Gevrey-Chambertin 2018 Village from old vineyards (vines between 50 and 80 years old) grows on marl-clayey soil with a high presence of iron. Daily pressing, on the lees for 19 days, then 14 months in French oak barrels with moderate toasting. Finally two months of further maturation in the tank.
Deep ruby red color, penetrable. On the nose it appears didactic, clean, not too intense but persistent. Red blackberry fruit, black cherry, then a beautiful dark floral where a clear red rose and a light violet stand out. Finally, undergrowth with mushrooms and soil.
On the palate it is dry, rather soft, full-bodied (not too much to be a Gevrey C.), with a freshness that is present but not slender and a discreet minerality that finishes. The sip is coherent, rewarding and well balanced, warm but not too much.
I appreciated this wine more the day after opening, when I found it more relaxed and expressive. Obviously it is a good wine, indeed I would say excellent, but having drunk some Burgundy in recent years, I would not place it in a hypothetical “top ten”. It is very balanced, pleasant, accompanies the meal well and is absolutely well made. However, in my opinion, it is a wine that lacks a little poetry. It doesn’t excite and doesn’t surprise even with some flaws. The name is a blazon and perhaps this penalizes it a bit on a psychological level, since despite being a village (in any case from old vineyards) I would have expected an extra shot. At least one extension that would make me remember him. Also because at its price you can find wines ready to tell us something, try to amaze us and make us remember them over time (if you are good, even many). Maybe not to Gevrey Chambertin.
Degustazione di Nebbioli in Batteria. Al primo rèfolo d’aria fresca s’innesca subito la sete di rossi e ritorna alla mente quel lotto di nebbioli comprati in gruppo alcuni mesi prima e per il cui assaggio era attesa da tempo la fine della gran calura. Ci si ritrova dunque nella tana de “Il Mosto Selvaggio” per approfondire le potenzialità di questo nobile vitigno, qui nella sua interpretazione base, in alcune sue diverse declinazioni. Raccontare 10 vini a memoria seguendo gli scarni appunti vergati in una serata che ha finito per configurarsi più ricreativa che formativa, nel senso puro del termine, non è facile. Ho deciso quindi di tracciare una descrizione di quelli che mi hanno maggiormente colpito.
Cemento e legno grande per un Nebbiolo che brilla per la nettezza dei profumi floreali, di melograno e ribes rosso, di genziana, per la scorrevolezza del sorso, l’equilibrio e la tensione, la coda sapida e la persistenza. Sembra di scorgere in controluce dentro questo vino un progetto che ha trovato una compiutezza esatta. Vino pronto e convincente.
VERSIO / neive 18
Acciaio, legno grande e di nuovo cemento. Colore quasi di un rosato, sottile, profumo di fragolina, cinnamomo, rosa, luminoso, apparentemente esile e trasparente, ma animato da chiara forza, espressività, definito un vino “risolto”. Piaciuto a tutta la tavola, in effetti stupiva per la serbevolezza e per il fatto di mostrare una memoria viva del frutto da cui provenne. Tutti i commensali hanno dichiarato di poterne bere una bottiglia da soli in venti minuti.
Langhe Nebbiolo 2019 RIVELLA / barbaresco
Lunga macerazione e affinamento in tonneaux per questo nebbiolo di uno dei prìncipi del classicismo piemontese. La gioventù lo penalizza perché risulta un po’ austero e allora ci si proietta in avanti col pensiero a tra qualche anno. Però c’è la consueta eleganza di Rivella, sentori di ribes rosso, scorza d’arancio, mazzo d’erbe aromatiche/bitter, il sorso è teso, fresco, di buon corpo, il tannino è ruggente. Ripensare alla gentilezza della famiglia Rivella aumenta l’apprezzamento per il vino.
Langhe Nebbiolo Bartolo Mascarello 2018 / barolo
Cemento e botti grandi per nove mesi. Archetipico e quasi perfetto. Gli ho preferito il Nebbiolo di Sandri in virtù di una più viva dinamica di gusto, ma questo Nebbiolo è eccezionale. Colore rubino vivo, viola, finissima Speziatura, piccoli frutti rossi, erbe mediche, il sorso è lungo, fresco, col giusto spessore e con un tannino rinfrescante che invoglia alla beva.
Langhe Nebbiolo 2018 Canonica / Barolo
Vino di grande personalità, solo cemento, colore rubino di media intensità, frutti scuri, balsamico, radice, suggestioni fungine (percezione non condivisa), al palato si presenta denso, con grande intensità di gusto, cala anche la carta di un buon equilibrio che in altre annate non avevo riscontrato, persistenza non comune. C’è chi lo ha subito apposto come trofeo in postazione al lavoro.
The first breath of fresh air immediately triggers the thirst for reds and brings to mind that batch of Nebbiolos bought in a group a few months earlier and whose tasting was long overdue until the end of the great heat. We therefore find ourselves in the den of “Il Mosto Selvaggio” to delve deeper into the potential of this noble vine, here in its basic interpretation, in some of its different declinations. Telling 10 wines from memory following the scant notes written in an evening that ended up being more recreational than educational, in the pure sense of the term, is not easy. I therefore decided to outline a description of those that struck me most.
Cement and large wood for a Nebbiolo that shines for the clarity of the floral aromas, of pomegranate and red currant, of gentian, for the smoothness of the sip, the balance and tension, the savory aftertaste and persistence. It seems to see against the light inside this wine a project that has found exact completion. Ready and convincing wine.
VERSIO / neive 18
Steel, large wood and concrete again. Almost rosé colour, subtle, scent of strawberry, cinnamon, pink, bright, apparently thin and transparent, but animated by clear strength, expressiveness, defined as a “resolved” wine. The whole table liked it, and in fact it was surprising for its shelf life and for the fact that it showed a living memory of the fruit from which it came. All the guests declared that they could drink a bottle alone in twenty minutes.
Langhe Nebbiolo 2019 RIVELLA / barbaresco
Long maceration and refinement in tonneaux for this Nebbiolo from one of the princes of Piedmontese classicism. Youth penalizes it because it appears a bit austere and so we project ourselves forward with the thought of a few years from now. But there is the usual elegance of Rivella, hints of red currant, orange peel, bunch of aromatic herbs/bitters, the sip is tense, fresh, full-bodied, the tannin is roaring. Thinking back to the kindness of the Rivella family increases your appreciation for wine.
Langhe Nebbiolo Bartolo Mascarello 2018 / barolo
Cement and large barrels for nine months. Archetypal and almost perfect. I preferred Sandri’s Nebbiolo to it due to its livelier flavor dynamics, but this Nebbiolo is exceptional. Bright ruby colour, purple, very fine spiciness, small red fruits, medicinal herbs, the sip is long, fresh, with the right thickness and with a refreshing tannin that invites you to drink.
Langhe Nebbiolo 2018 Canonica / Barolo
Wine with great personality, only cement, ruby color of medium intensity, dark fruits, balsamic, root, fungal suggestions (perception not shared), on the palate it is dense, with great intensity of taste, it also shows a good balance which in other years I had not found uncommon persistence. There are those who immediately placed it as a trophy on their workstation.